Ladakh

il paese degli alti valichi 
di Marco Vasta
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questa pagina che leggi è basata sulla edizione 1988

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  Lamayuru

Ovvero

come l'ingordigia e la stupidità di un abate riescono a rovinare un gompa

La strada asfaltata corre un centinaio di metri a monte dell'abitato di Lamayuru e sul fondo valle si scorge la vecchia pista che si snoda fra decine di chorten sovrastati dal monastero. Una nuova diramazione scende fino al monastero oppure si prosegue fino alla rest-house, punto di sosta per camion ed autobus (qui nell'84 è avvenuto l'unico scontro a fuoco fra locali in cui sono stati coinvolti dei turisti) e poi si scende per un largo sentiero verso i templi ed il villaggio. Numerose abitazioni sono state trasformate in alberghetti dal nome pretenzioso ed altri sono in costruzione. 
Foto di Stefano PensottiA Lamayuru vivono circa 500 Ladakhi e sul fondovalle si trova un boschetto dove si può campeggiare. Seguendo il sentiero sulla riva sinistra (non sempre vi è acqua nel torrente) dopo alcune centinaia di metri si scorgono alcuni chorten sulla riva destra all'inizio di una valletta laterale; risalendola si giunge in due ore al Prikiti-La (m 4098) ed in altre due ore al monastero fortificato di Wanla. Sebbene il percorso sia faticoso e privo di acqua la discesa nella gola sabbiosa è un'esperienza affascinante e l'escursione a Wanla è divenuta una tappa entusiasmante per molti turisti. 
Lamayuru è la corruzione del nome Lama-Yung-Drung (la svastica del lama), questa denominazione nascerebbe da un'antica leggenda sulla santità di questo luogo. Nell'antichità quassù si estendeva un lago abitato dai Naga: 
uomini serpente che nuotavano nelle acque limpide e cristalline fin dai tempi di Sakyamuni (il culto dei Naga pare sia di origine kashmira e molte leggende legano questi semidei a momenti della vita del Buddha; leggende simili sono raccontate sull'origine delle valli del Kashmir e di Kathmandu). Il saggio arhat Madyantaka evocò forze sovrannaturali per prosciugare il lago e profetizzò la fondazione di un convento. I grani di frumento che aveva gettato sulle onde, tornati a riva, crebbero disponendosi in forma di svastica, segno di prosperità. 
La fondazione del monastero è attribuita Naropa che vi soggiornò in un eremo, ma questa è probabilmente un'elaborazione dei monaci «berretti rossi» che occuparono il convento in tempi recenti. Il lamasterio appartiene ai Digung-Kagyu (Bri-Cung-Pa), ordine che risale ai maestri Tillopa e Naropa. Sicuramente alcuni edifici vennero costruiti ai tempi di Rin-chen-bzang-po, che sotto gli auspici dei re ladakhi, fondò ben 108 luoghi di culto! 
Foto di Stefano PensottiJigten Gonpo (1143-1212) elevò l'attuale complesso di edifici su uno sperone di roccia che sovrastava la strada carovaniera e gode dei raggi del sole dall'alba al tramonto. Originariamente vi sarebbero stati cinque complessi ma ora ne  rimane uno solo; ad occidente si trovano altri ruderi. Francke accenna ad una preesistente. cappella di rito bon-po di cui attualmente non rimane alcuna traccia (pare sia stata abbattuta nel 1971). Nel 16° secolo il monastero fu dichiarato zona franca con diritto d'asilo per i criminali e da allora è conosciuto anche come Tharpa-ling (luogo di libertà). Dei quattrocento monaci che qui risiedevano ai tempi di maggior splendore del convento ne rimanqono solo una ventina sotto il controllo di Togdan Rimpoche del monastero di Phyang, ma spesso sono assenti poiché inviati nelle vicine vallate. I raccolti dei campi ed i proventi del gompa non sono, infatti, sufficienti al mantenimento della comunità e quindi sono stati fondati numerosi piccoli conventi, con uno o più monaci, presso i villaggi della zona. Le donazioni dei fedeli integrano i proventi dell'agricoltura secondo un sistema di dipendenza tra monastero principale e conventi minori che è diffuso in lutto il Ladakh. Le occasioni di raduno per i monaci sono date dalle cerimonie religiose e dalle due grandi feste che cadono nel secondo e quinto mese del calendario tibetano. 

La visita

Dalla piazza del monastero, sovrastata dall'inutile e mostruoso albergo voluto dall'abate, ci s'incammina ai templi tenendo alla destra gli appartamenti e le cucine. 
Kenminzang, guardiano dell'occidente - foto Stefano PensottiAlla sinistra, più in basso della strada, si trova il Chenrezi lhakang, tempio dedicato ad Avalokiteshvara: la grande immagine di questo Bodhisattva, raffigurato nella forma con mille braccia, è circondata da altri otto Bodhisattva e da piccoli chorten che originariamente erano d'argento; all'interno scena della vita di Buddha e dipinti di Avalokiteshvara. Giunti all'edificio principale, troviamo due portali, uno che guarda verso nord ed uno verso est. Si passa così nel cortile e si salgono i gradini del portico affrescato con le figure dei quatto guardiani e si entra nel dukang Chenmo; la principale sala di culto è divisa in tre navate da alcuni pilastri ed è stata interamente ridecorata con pitture e tangke nuove che brillano per la vivacità dei colori, alcuni ritratti di grandi maestri della linea kagyu sono appesi sulle pareti negli spazi fra i volumi della biblioteca. Sul muro di destra si trova una piccola grotta conosciuta come «eremo di meditazione di Naropa», contenente la statua del santo e quelle di Marpa e Milarepa. Sulla parete di fondo un porta da accesso alla piccola cappella retrostante. In una grande vetrina sono conservate le statue di numerose divinità ed importanti Rimpocé. Il monaco che vi accompagna forse saprà indicarvi i nomi. 
foto di Stefano PensottiTornati nel chiostro, una rampa di scale strette conduce alla balconata superiore dove  si trova il Gombo gonkang con alcune rappresentazioni delle divinità tutelari ed alcuni piccoli chorten: un altra rampa di scale conduce all'appartamento del superiore del convento. 
Dall'edificio principale fatevi accompagnare al Singe-Kang: Usciti dalla porta secondaria del cortile si percorrono i corridoi posti nelle fondamenta del monastero, si attraversano viottoli sotto volte pericolanti e si scende fra la e case fino alla cappella in un edificio non ancora restaurato. È stupefacente l'incuria dei monaci per questo tempietto che è oggetto della venerazione dei fedeli e della curiosità dei turisti. La cappella è dedicata al Buddha Supremo Vairocana fra i cui simboli è il leone (da qui il nome di «tempio del leone»). Il culto risale ai tempi di Rin-Chen-Zang-po, appartenente ai Kadam-pa, ordine molto rigido nell'osservanza delle regole della vita monastica, L'immagine di Vairocana è rappresentata assisa su un trono dalla forma di leone; un garuda. mitico uccello indù, ed una coppia di makar, mostri marini, formano una volta sopra l'aureola della divinità. Sulle pareti si riescono a decifrare gli affreschi di Avalolokitshvara con undici teste, un mandala con Vairocana. alcune divinità protettive ed una serie di piccoli quadri che raccontano la vita di Sakyamuni:, simili a quelle del Somar lhakang di Alchi. A destra si entra in un secondo gonkang che ospita come divinità tutelari tre interessantissime sculture  in argilla raffiguranti Mahabal Bhattazaka. Mahakali e Sambhara. Le statue sono a grandezza d'uomo ed impressionano visitatori e fedeli nella tenue luce delle candele votive: orride sembianze, volti digrignanti. occhi spiritati. corna e sciabole, colpisce oltretutto il colore vivace del rosso sanguigno dei dharmapala, i difensori della legge, il cui culto risale ai Bön-po. Essi entrarono nel pantheon lamaista in un sincretismo di fede e. superstizione. Il ricorso alla loro protezione è avvenuto in ogni momento drammatico della vita del paese queste stame, per esempio, furono modellate al tempo delle incursioni di Mir Mazid, sconfitto nel 1517 dopo massacri e lotte cruente. Sulle pareti della cappella sono dipinti alcuni scheletri Sono i «guardiani dei cimiteri» ed è una curiosità non rilevabile in altri templi. 
Presso la strada asfaltata, proprio sopra il monastero, è stato costruito pochi anni fa un nuovo complesso di celle ed edifici sacri. 

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