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Autostop per l'Himalaya
Seth Vikram

Editeur - Casa editrice

EDT

  Asia
Tibet
Sinkiang

Città - Town - Ville

Torino

Anno - Date de Parution

1992

Titolo originale

From Heaven Lake: Travels Through Sinkiang and Tibet

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Aquiloni

Traduttore

Alessandro Cogolo

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(Lungo Tevere Testaccio,10 - Roma)

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From Heaven Lake: Travels Through Sinkiang and Tibet

Autostop per l'Himalaya  

La lunga marcia verso il Tibet
SCRITTORI VIAGGIATORI: LA CINA DI VIKRAM SETH
di Giuliano Polidori
(GdB 4-8-2002)

Definito dal Times qualche tempo fa «il più grande autore di questi ultimi anni», l’indiano Vikram Seth aveva esordito in Italia - prima del successo internazionale raggiunto con Il ragazzo giusto (1995) e Una musica costante (1999), entrambi pubblicati da Longanesi, - con il libro Autostop per l’Himalaya (Edt): resoconto dell’interminabile viaggio da lui compiuto all’inizio degli anni Ottanta dalla Cina settentrionale al Tibet, prima al seguito di un’escursione organizzata dall’Università di Nanchino, dove Seth studiava il cinese grazie a una borsa di studio, poi da solo, con mezzi di fortuna.
La sua meta era la terra del Dalai Lama, per la quale aveva ottenuto un permesso di entrata non facile da avere per un viaggiatore solitario. Il Tibet, devastato dall’occupazione cinese iniziata nel 1950, dalla repressione durissima del 1959 e dalla Rivoluzione culturale (solo una cinquantina dei suoi 3.700 monasteri erano rimasti attivi), rappresentava per Seth «il fascino che circonda l’ignoto».
Le notizie che trapelavano dalla «regione autonoma», in realtà controllata duramente da Pechino, erano poche; indispensabile quindi un viaggio in loco per confrontare l’immagine reale del «Paese delle nevi» con quella un po’ sfumata nella leggenda che se ne poteva avere all’esterno. Il viaggio comincia nello Xinjiang, altra provincia, situata al confine Occidentale della Cina, abitata, come il Tibet, da popolazioni differenti da quella (la Han) che costituisce i nove decimi del miliardo e rotti di cinesi. Questa terra di nessuno è popolata da minoranze come gli uyghuri e i kazahi, di religione musulmana, ed è a metà tra due civiltà: alfabeto arabo che si mescola col cinese e tratti somatici che sfumano in una combinazione indefinita, più Turchia che Cina, scrive Seth. Si aggiunga che la zona di Turpan, città che lo scrittore prende come base, una volta era buddista; ma di quella storia, durata millecinquecento anni, rimangono solo alcune rovine che si sbriciolano sotto un sole implacabile, peggiore di quello di Delhi d’estate.
A ovest di Turpan si stende, sempre nello Xinjiang, la regione del Lago del Cielo, «una zona di tale bellezza naturale - scrive Seth - che potrei fermarmi a viverci, felice, per un anno». Dalla pianura si scorge in lontananza la catena del Monte Bogda, che si eleva improvvisamente «come un prisma scintillante, orizzontale sulla superficie del deserto». A circa metà dei suoi 5.000 metri di altitudine si apre lo spettacolare specchio azzurro del Lago del Cielo, ai piedi di una delle più alte cime innevate e circondato da muraglie di montagne.
Prima di intraprendere la lun a discesa verso il Tibet, Seth torna brevemente ad est, verso Nanchino, fermandosi a metà strada a Xi’an, antica capitale culturale della Cina: anche qui, nel luogo della «Foresta delle Stele» (la celebre collezione di iscrizioni calligrafiche), del labirinto sotterraneo dove fu sepolto l’imperatore Qin Shihuang accanto a migliaia di soldati e cavalli di argilla, del sepolcro dell’imperatrice Wu, l’identità cinese si mescola con quella islamica.
La moschea di Xi’an, tappezzata di scritte cinesi e arabe, è miracolosamente scampata alle distruzioni della Rivoluzione culturale. Seth scopre così che una certa pluralità è riuscita a sopravvivere alle furie dell’idolatria maoista, agli anni in cui metà del patrimonio artistico cinese fu polverizzato; e l’immagine di una monolitica compattezza sfuma, man mano che il viaggio prosegue, in una complessità che lo affascina. Ripreso il cammino verso Sud, dopo aver lasciato Liuyuan lo scrittore attraversa il bacino del Qaidam. Lo spettacolo è superbo: «Attraversiamo il bassopiano, saliamo dolcemente per un po’ e, come raggiungiamo il punto più elevato, vediamo di fronte a noi un panorama mozzafiato: un enorme declivio che si estende a perdita d’occhio, come se il mondo fosse sprofondato».
I crinali non chiudono l’orizzonte, ma offrono creste rosa, ardesia e viola. Poi «nude dune, nere colline, luccicanti e pietrose. (...) Più avanti laghi di un blu pallido, una striscia di vegetazione e un nastro di terra rossa, come il tricolore fantastico di una repubblica di artisti». Più a sud c’è il Qinghai, la regione dalle quattro lingue (cinese, tibetano, kazaho e mongolo), e poi, finalmente, il Tibet del Nord, dove tutto sembra mutare: «Che cambiamento improvviso si nota tra qui e l’arido Qinghai! La foschia a strati ben compatti si muove tra colline di un verde intenso. Gli yak pascolano ovunque. Un fiume splendente ci tiene compagnia». In tutte le case campeggia il ritratto di Mao, spesso accanto a quello del Dalai Lama, e davanti a entrambi bastoncini d’incenso che bruciano. Capire il Tibet non è semplice. Ma addentrandovisi, Seth è incantato da quanto vede, nonostante i giorni di massacrante viaggio in camion, «specialmente in questa zona lussureggiante e bella che stiamo attraversando, che predomina su ogni pensiero fastidioso». Arrivato a Lhasa, corre a visitare il Tempio di Zuglakan, nel cuore della città vecchia, uno dei più sacri centri del buddismo tibetano e, «con il suo tetto d’oro che spiove elegantemente sulla strada affollata, uno dei più belli». La sala interna è splendida con le sue nicchie e alcove laterali, gli arazzi di seta, le lampade odorose alimentate con burro di yak. Pitture murali ravvivano le pareti punteggiate da statue di Budda dorati, ognuno con un’espressione e una postura diverse, Budda del passato e del futuro, con al centro il più importante, il Sakyamuni o Siddharta. «È una tragedia - scrive Seth - che un simile capolavoro sia ancora così tristemente inaccessibile». Poi la visita al Potala, un tempo il Palazzo d’Inverno del Dalai Lama. S’innalza, bianco e immenso, aggrappato a una collina, affollato da migliaia di pellegrini che cantano, pregano, girano le ruote della preghiera e versano offerte, sfiorando nel passaggio i lama che, seduti indifferenti all’interno di alcune nicchie, salmodiano brani delle scritture. Seth prova l’emozione nella sala dove un meraviglioso Budda «emana una indescrivibile sensazione di pace dalle sue fattezze lisce». Infine una tappa in Nepal, a Kathmandu, nell’incredibile ressa del tempio di Pashupatinath, di osservanza induista. Siamo alla fine di questo lunghissimo viaggio: Delhi, la città di Vikram Seth, e l’India sono ormai a un passo.

 


Recensione in altra lingua (English):

After two years as a postgraduate student at Nanjing University in China, Vikram Seth hitch-hiked back to his home in New Delhi, via Tibet. From Heaven Lake is the story of his remarkable journey and his encounters with nomadic Muslims, Chinese officials, Buddhists and others.



Biografia

Vikram Seth è nato a Calcutta nel 1952. Dopo aver studiato economia alla Stanford University, ha effettuato numerosi viaggi, trascorrendo lunghi periodi in Inghilterra, California, India e Cina. Prima de Il Ragazzo giusto (1993), il romanzo che lo ha imposto all’attenzione della critica e del pubblico internazionali, ha pubblicato Autostop per l’Himalaya (1983), che descrive l’avventuroso viaggio compiuto da Nanchino a Dehli, passando per il Tibet, e che ha ricevuto il Thomas Cook Travel Award, e The Golden Gate (1986), romanzo in versi concepito come un omaggio all’Evgenij Onegin di Puškin.

Consulta anche: Interviste e recensioni a cura di Mario Biondi
Consulta anche: Vikram Seth, un successo costante (rivista Popoli)