Ladakh

il paese degli alti valichi 
di Marco Vasta
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aggiornamento della edizione 2015 (rist. 2016)

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Leh

Choskang (Jokhang)

Lungo la via principale, dove le donne accoccolate sul marciapiede vendono frutta e verdura, si trova il Choskang (Jokhang), edificio moderno elevato nel 1956 dall’Associazione Buddhista del Ladakh e completamente ricostruito nel 1999. Questo nuovo tempio, Somar Gompa, racchiude immagini del Karmapa, del Dalai Lama ed un’immagine di Sakyamuni qui trasportata per il 2500° anniversario della nascita di Buddha dal monastero di Tashi-Lhumpo (Tsang, nel Tibet centrale) e che sarebbe una fedele riproduzione di quella racchiusa nel Ramoche di Lhasa. Venne trasportata in pezzi separati nel corso degli anni’50 e fu Punchok Palzan, artigiano di Chilling, a rimontarla. Nel cortile s’incontrano fedeli Ladakhi e Tibetani che percorrono il perimetro del tempio mettendo in movimento le centinaia di ruote di preghiera. Un cartello bilingue avverte che vi sono contenuti migliaia di mantra.

 

Jama Masjid

Quasi di fronte al tempio buddhista si trova la Jama Masjid che fu costruita nel 1590 dal re Jamyang Namgyal, su espressa richiesta del Gran Moghul che allora governava il vicino Kashmir. Oltre ai tempietti hindu delle varie cappelle reggimentali presso le caserme si può visitare anche la chiesa cristiana costruita dai missionari moravi qui giunti nello scorso secolo (è vicino al distaccamento di polizia).
Passeggiando per la strada principale fra negozi e ristoranti, fra banche e studi fotografici, si può immaginare come fosse Leh nella prima meta del ‘900, priva di stranieri e d’automobili, ma basta alzare gli occhi, sorvolando aldilà dei fili della luce, ed il palazzo reale ci appare in tutta la sua mole ed, in distanza, sembra ancora intatto. La reggia sovrasta l’abitato, tutto raccolto ai piedi della dimora dei Gyalpo.

 

Palazzo reale

È una mole gigantesca disposta su dieci piani successivi di finestre e balconi, con mura compatte, unite, altissime. Osservatela al tramonto quando al suo fianco il grande chorten s’illumina nella luce radente. Pare impossibile che un edificio cosi possente riesca a dare l’impressione di svettare verso il cielo.

In basso i contrafforti sono poderosi come in una fortezza, poi, per più piani, le finestre assomigliano a feritoie, infine ai piani superiori le aperture si fanno più larghe, più grandi e a quelli più alti non ci sono più finestre, ma balconi, i rabsal, ed anche questi sono via via più larghi da un piano all’altro fino alle terrazze terminali. Con l’assottigliarsi progressivo delle mura verso l’alto e con l’ingrandirsi, pure progressivo, delle aperture, fatte per dar luce agli ambienti, si raggiunge un effetto architettonicamente elegante dalla compattezza delle mura in basso fino, al traforo dei rabsal in alto.

Il quartiere con le case più vecchie di Leh si trova alle spalle della moschea e da esso si può salire al castello ed alla rocca. Il gLechen Palkhar domina la capitale con la sua massiccia struttura apparentemente intatta. Il palazzo-fortezza fu costruito nel 1600 dal re-leone Singge Narngyal e servì da residenza ai sovrani del Ladakh fino al 1846. Dopo l’invasione dogra i re si ritirarono nel palazzo di Stok. Gli otto piani dell’edificio sono quasi tutti pericolanti; una volta entrati occorre porre attenzione ai buchi nel pavimento ed ai gradini malmessi ed insicuri. I dipinti murali sono quasi completamente scomparsi e nel dedalo dei corridoi e delle scale si raggiunge la cappella di palazzo, che racchiude una grande immagine di Ushnishasitatapatra (tib Dukkar), alcune maschere liturgiche ed affreschi con episodi della vita di Sakyamuni, interessanti i pochi ornamenti rimasti sulle colonne. Anni addietro era agibile anche una piccola sala d’armi, in gran parte del 1800, ed appartenenti probabilmente alle truppe di Zorowar Singh.

Inoltratevi per i bui androni ed affacciatevi nel cortile interno: riuscite ad immaginare quando i re Ladakhi dominavano il vasto impero e quassù per le feste di Gyalpo Losar e di Dosmoche si riuniva la nobiltà ladakha e vassalla? I musici cantavano la gloria di Sengge Namgyal che aveva elevato il possente palazzo. Dalle mura bianche pendevano arazzi, ai rabsal s’affacciavano le dame e le gesta di Tashi, Jamyang, Deldab e Tshe-stang erano narrata al ritmo di doppi flauti, tamburelli e cimbali.

Fuori dal castello, il Guru Rimpoche lhakang, o Somar Gompa, è una nuova cappella formata da una unica sala con una grande immagine di Sakyamuni, circondata dai maestri kagyü-pa, sulle pareti sono rappresentati i sessanta Arhat, le numerose forme di Padma-Sambhava. Vi sono anche altre due cappelle vecchie e poco interessanti. Ad ovest del palazzo, presso il grande chorten dorato.

 

Tsemo gompa (monastero del picco)

Un sentiero prosegue in ripida salita verso la vetta della collina e conduce al complesso architettonico di Tsemo gompa (monastero del picco). Arrivati in vetta, dove ci si ferma a recuperare il fiato, l’occhio spazia sulla valle di Leh e sulla prospiciente catena dello Stok Kangri.
Quassù fu edificato un palazzo, ora ne resta solo parte del muro perimetrale; re Dragspa-Bum-Lde costruì anche la cappella rossa nel 1430 ed il santuario resiste tuttora conservando una gigantesca statua di Maitreya alla quale si affiancano quelle di Manjushri e Vajrapani. Sulle pareti sono raffigurati i monasteri di Tashi Lhumpo, residenza del Panchen Lama in Tibet, e delle scritte commemorative in caratteri dorati che elogiano il riformatore Tsongkapa. La cappella era al centro dell’antico palazzo reale; nel secolo successivo Tashi Namgyal costruì, attorno al 1520 un altro santuario che contiene preziosi esempi dell’arte ladakha de1 16° secolo.
Il complesso si può visitare solo se è presente il lama che ne ha le chiavi.
Nel gonkgang oscuro e tenebroso vi sono le quattro divinità protettrici di Leh, fra le quali notiamo Mahakala, Vishravana ed il terribile Jingshet, forma corrucciata di Manjusri.

Il tempio dedicato ad Avolokiteshvara ospita una grande immagine della divinità, nella sua forma a dieci braccia, ed alcuni dipinti murali con i sessanta Arhat. Complessivamente le cappelle sono tre: quella posta più in alto, generalmente chiusa al pubblico, ed è anche la più cadente. Alla sommità della collina, presso i ruderi delle fortificazioni si trovano una infinità di preghiere stampate su quadrati colorati appesi a corde che vanno da un cucuzzolo all’altro. I più pigri possono ora raggiungere la rocca in macchina... Dallo Tsemo gompa si può scendere per un altro sentiero verso Sankar oppure tornare nella spianata prospiciente al castello per visitare alcuni templi minori.

 

Ringmo (mendong): Ringmo-Thang

Alla periferia di Leh, verso sud, vicino alla stazione radio, si trovano i due grandi muri mani Ringmo (mendong): Ringmo-Thang fu eretto nel 1635 in memoria della regina Skalzang Dolma dal figlio Dalden Namgyal; all’origine era lungo quasi mezzo chilometro, ed è ricoperto da migliaia di pietre su cui sono scolpiti mantra e figure sacre. All’estremità si ergono due grandi chorten, uno detto «della Vittoria» (Namgyal) e l’altro della illuminazione
(Janchub). Il secondo grande muro mani è un po’ più a valle fra i sobborghi est ed è lungo solo trecento metri. Questo mendong fu costruito nel 1785 da Tsetan Namgyal in omaggio al padre Tsewang Namgyal II.

 

Changspa Chorten, Tiseru e Shanti Stupa

Alla periferia di Leh, verso nord, sorgono il villaggio di Chubi, che è l’insediamento originario della cittadina, ed il villaggio di Changs-pa, con le proprietà private dei discendenti dei kalun, i primi ministri. Qui si trova una antica raffigurazione di Maitreya scolpita nella roccia e nei pressi si erge il Changspa Chorten. Questo tipo di chorten riproduce nella sua architettura il maestoso Khum Bum di Gyantse nel Tibet cinese pur senza raggiungerne l’imponenza. Il chorten, completamente bianco con la punta dorata, ospita ben centootto nicchie. Il suo nome è Tashi Go-mang (bKrashis sGo-mang, il chorten dalle molte porte).

Ancora più a nord incontriamo Tiseru, chorten costruito nel 15° secolo dal re Dragspa-Bum-Lde. La leggenda racconta che il re lo costrui per placare l’ira del demone Tè-u che viveva in questa piana. I resti dell’enorme stupa, che si innalzava per oltre venti metri e che era indicato come Tè-u-gser-po, sono stati fotografati da Dainelli e da Snellgrove, ma l’esperienza più curiosa capitò a Francke che nel diario del 1909 scrive: «Il 9 settembre andammo al Tiserru... Tentammo di aprire un nuovo buco per ntrarvi, quando una moltitudine di uomini, che lavoravano nei campi vicini, corse presso di noi; terrorizzati ci imploravano di non aprirlo... Ai tempi di re Bum-lde un demone viveva in una cavità sotto la roccia.

Uno stupa venne costruito sulla sua dimora per esorcizzarlo. Se avessimo aperto lo stupa, la gente temeva che il demone, soggiogato per oltre 500 anni, sarebbe tornato nuovamente in libertà». Anche il Tiseru è un bKrashis sGo-mang chorten. Sulla base circolare, con tracce di stucchi riproducenti figure alate, si trovano due gradoni in mattoni, entrambi attraversati da uno stretto corridoio. Il cumulo di rovine in cui si è trasformato si raggiunge facilmente da una deviazione della strada che sale al bianco Shanti Stupa, costruito con fondi giapponesi in gran parte della Sokogonkai, domina la piana di Leh.

 

Sankar Gonpa

Sankar Ling (Sem gSang-mkhar Kar, «la fortezza dello spirito puro») è un convento frequentato da una trentina di monaci gelup-pa, fu costruito alla fine del 1800 ed era retto da Bakula Rimpoche che aveva qui la sua residenza privata. Il dukang è il più importante dei tre templi e delle cappelle del monastero. Situato al pianterreno ospita i due alti seggi di Bakula Rirnpoche e del Dalai Lama, alle pareti numerosi volumi sacri del Kangiur, pitture con la vita di Sakyamuni. Attorno alla porta sono raffigurate le divinità protettrici e sull’altare sono poste due grandi immagini di Sahyamuni, Avalokiteshvara (nella forma a mille braccia) e quelle di Guru Rimpoche e di Tsongkapa oltre a piccoli bronzi. Al primo piano si trova il Dukhar lhakang preceduto da una spaziosa anticamera con affreschi che illustrano le regole della vita conventuale e riproducono le immagini di Atisha, Sakyamuni e Tsongkapa. Il tempio è dedicato a Dukkar: la dea è raffigurata con una gigantesca immagine della sua forma «dell’ombrello bianco» ovvero con mille teste, braccia e gambe, circondata da altre statue. Vi sono pure due vetrine con una collezione di preziose statuette in bronzo. La cappella del maestro, o labrang, racchiude il seggio di meditazione ed una magnifica collezione di tanke. La libreria del monastero, o pemzokang, è sullo stesso piano del labrang e racchiude, oltre ai libri canonici, anche cinque immagini sacre. Vi è infine un’altra sala detta Je Rimpoche lhakang dedicata a Tsongkapa.