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letteratura di viaggio

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Danubio

Magris Claudio


Editeur - Casa editrice

Garzanti Libri

Europa
Austria
Ungheria


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

1990

Pagine - Pages

480

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Gli elefanti. Saggi


Danubio Danubio  

Paesaggi, umori, incontri, riflessioni, racconti di un viaggiatore sterniano che ripercorre con pietas e con humour il vecchio fiume, dalle sorgenti al Mar Nero, ripercorrendo insieme la propria vita e le stagioni della cultura contemporanea, le sue fedi e le sue inquietudini. Un itinerario fra romanzo e saggio che racconta la cultura come esperienza esistenziale e ricostruisce a mosaico, attraverso i luoghi visitati e interrogati, le civiltà dell’Europa centrale – in tutta la complessa varietà dei suoi popoli e delle sue culture – rintracciandone il profilo nei segni della grande Storia e nelle effimere tracce della vita quotidiana.
Viaggio esterno, dunque, e avventura interiore, minuziosa documentazione erudita che diventa materia di finzione e di digressione fantastica per un viandante curioso di luoghi, libri e persone che redige un piccolo Decamerone danubiano con storie e vicende, destini individuali e collettivi rimasti impigliati sulle rive del fiume e del tempo. Il Danubio diviene un labirintico percorso alla ricerca del senso della vita e della storia, sull’atlante della vecchia Europa e del nostro presente

 



Recensione in lingua italiana

(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Beccaria, G.L., L'Indice 1987, n. 2

L'idea, a pensarci, era tra le più semplici: prendere un fiume e descriverne luoghi, paesaggi, incontri, memorie, dalla sorgente alla foce. Poteva essere il Rodano o il Reno, il Don il Po il Tevere o il rio delle Amazzoni. Ma c'è fiume e fiume, e soprattutto c'è viaggiatore e viaggiatore. Se il fiume si chiama Danubio e chi viaggia lungo le sue rive è un illustre germanista (Claudio Magris appunto), l'uomo e lo studioso non possono che rendersi interamente riconoscibili nella peripezia intellettuale per luoghi e strade che sono state per l' autore prima libro, ricerca, ed ora, ritrovati nella dimensione familiare e quotidiana del viaggio, diventano come un suo ritratto, pagine a sua immagine e somiglianza. Cosicché l'eventuale Bedaecker coltissimo si tramuta in uno struggente romanzo-saggio, dove Vienna ad esempio (sezione centrale del libro), ai cui scrittori Magris ha dedicato saggi ben noti, diventa in questo "Danubio" il luogo dov'egli ritrova se stesso, la propria identità, il noto e il familiare, l'incanto delle cose nel loro esistere più immediato. L'intero libro è giocato però non sulla felicità del ri-conoscere, ma sul perenne divario tra l'immediato e gli echi, l'evocazione del lontano che sta dietro le cose. L'arte sottile di Magris scrittore mi pare stia proprio nel sovrapporre continuamente vicino e lontano (un esempio qualsiasi: "...siamo a Mohàcs. L'antico campo di battaglia, sul quale nel 1526 il regno ungherese travolto dai turchi fu cancellato per secoli, è una falange di pannocchie e girasoli") con alto tasso di consapevolezza di "assenze" sottese che sono momenti di una serie ininterrotta di metamorfosi. Magris non è lo storico della letteratura in viaggio, che ci dice quel che c'è storicamente dietro le cose. La Storia illumina, spiega, colloca in un ordine, connette ad una legge che stringe in unita più profonda le apparenze e le manifestazioni. Magris è affascinato invece da quanto la storia ha raccolto e poi disperso in errabonda provvisorietà. Fugace come l'acqua di un fiume, "Danubio" è un elogio della fugacità: un viaggio che muove tra oggetti che mutano e perdono di continuo la propria identità. Dietro le cose ci stanno sempre altre cose, e spiegarle, descriverle, sondare, non significa cavarne la "ragione" che permette di accantonare o dimenticare il composito, il fluttuante, il disguido, l'eccezione. Il libro di Magris, più che di viaggio è un saggio sul plurale, sul metamorfico: la civiltà tedesca trascinata in lunga odissea verso oriente, terre e luoghi che non sono più Occidente e ancora non sono Oriente.
Lungo il Danubio s'incontrano e si scontrano genti diverse. Il Danubio non è il Reno custode mitico della purezza della stirpe. È il fiume di Vienna, di Budapest e Belgrado, il fiume dell'antica Dacia, che ha racchiuso infine l'Austria asburgica come l'anello dell'Oceano il mondo antico. È fluito attraverso la 'koin‚' plurima e sovranazionale di una mitteleuropa tedesco-magiara-slavaebraico-romana. Il senso del fluire e della fugacità del vivere è colto da Magris appunto nel viaggio per terre percorse nei secoli da migrazioni di popoli che hanno devastato, civilizzato, rimescolato. Capisco perché tra le pagine più intense del libro spicchino quelle dedicate alla Pannonia, la pianura croato-magiara, impastata di polvere, di paludi, di foglie marcite, di orme sanguinose lasciate nei secoli da migrazioni e da lotte di civiltà che in quella pianura e in quel fango si sono sovrapposte come zoccoli di cavalli barbarici. Magris è affascinato dalla Pannonia crogiolo di genti e di culture, e da tutti i luoghi dove l'individuo abbia scoperto la pluralità e l'incertezza e la complessità della propria origine ed identità. Ci si muove in terre urto di stirpi poi confuse e mescolate nel tempo, per luoghi che hanno permesso le più intense contraddizioni: lungo il Danubio c'è la Vienna che ha espresso le sue "allegrie di naufragi", ed è stata luogo di naufraghi, ci sono gli scrittori che hanno mascherato nell'ironia uno scetticismo totale nei confronti dell'universale e dei sistemi di valori, e accanto quegli altri che hanno ragionato per categorie forti, inquadrato il mondo in sistema, cercato di portar ordine e trovato che tutto è connesso, instaurato fermi valori, negata la spontaneità immediata, decretandone l'inautenticità e dandole significato soltanto là dove s'incanalava nella disciplina di una forma. Penso in questo caso alle pagine di Magris dedicate a Lukàcs accostate a quell'altre su luoghi e uomini che hanno espresso l'opposto: la spontaneità, l'informe, la vitalità, l'anarchia, accanto ai rituali della forma e dell'ordine, dell'unità armoniosa.
Stirpi diverse, e un libro, dicevo, sulle metamorfosi e sul divenire. Ma "Danubio" è ancora, come "Lontano da dove da quando", un poema sulla lontananza, sull'andare lontano e sul venire da lontano, come è l'uomo, e il suo viaggio (il viaggio metafora della vita ma anche dell'essere). "Danubio" è un libro sul non sapere da dove si viene e dove si va. Anche un grande fiume (e qui penso all'attacco ironico e leggero del libro, sulla 'querelle' delle sorgenti e i luoghi diversi che vantano di dare i natali all'augusto acqueo rampollo) può nascere da un prato acquitrinoso, o forse da una grondaia, o meglio da un rubinetto, e questo collegato ad un tubo di piombo che va a perdersi chissà dove... La pompa e le glorie di un sì glorioso fiume sgorgano da scaturigini inconoscibili, sfuggenti, imprendibili. Come voler portare ordine, trovare connessioni e leggi, definizioni e catalogazioni allo sprizzare della vita? Inconoscibile la sorgente; inconoscibile, nel libro, anche la foce. Il grande fiume finisce nel mare grande: attraverso un grande imprecisabile delta o un ben precisato canalizzato canale? "Danubio" è un interrogativo protratto: sulla vita, sul nascere, sull'essere e sul finire. Trovo grandiose le pagine finali sul delta, lo sbocco nel mar Nero: qui l'autore, sprovvisto ormai della cultura citabile che prima lo aveva sorretto e guidato come bussola sensibilissima, dà il meglio di sé, in quel suo chiedersi, dopo tanta cultura e luoghi e nomi e fatti della storia lontana e vicina citati e commentati, in quel chiedersi là sul delta che cos'è quest'incessante finire, questo finire che non ha fine, il non esistere di un "io finisco", ma di un verbo soltanto all'infinito presente. Non è avvertibile il punto preciso del dissolvimento, tra fiume delta e mare. Nel delta la polvere delle ampie pianure diventa man mano sabbia, la terra è già duna, le scarpe s'infangano in pozzanghere che forse sono anche loro foci, minime bocche nelle quali si dissangua e si perde il Danubio, ma questa foce a lungo cercata diventa anche, in una sua parte, un canale, dove l'acqua sicura e tranquilla fluisce nel mare; ma neppure quello è regolamentazione, regimazione direbbe il tecnico o il burocrate, Regulation, canalizzazione che determini e limiti, ma fluire ancora, che si apre e si abbandona alle acque e agli oceani di tutto il globo in tutte le sue profondità. E qui il libro di Magris si chiude, con la citazione di una poesia sulla morte di Biagio Marin, là dove dice che il rimescolarsi è anche un congiungersi con il "mar grande".
Ma "Danubio" è libro interamente dedicato alla vita. Magris vuol narrarci in questo suo romanzo-saggio che la grandezza e la pienezza del significato del vivere non la si ritrova tanto nel notorio ed eclatante, ma si annida nel meno noto, nelle piccole cose, nei gesti e nel dettaglio apparentemente insignificante. E eccezionale tanto il rivoletto dietro casa come un'ansa del Danubio maestoso. Entrambe sono acque che non celano, come un mare i suoi abissi: scorrono via tranquille e terse, ma proprio nella loro lieve increspatura di superficie sono così simili alla vita dell'uomo, il cui apparire e manifestarsi è in definitiva più insondabile di fondali e caverne e intricate oscurità di un mare. Magris è scrittore più fluviale che marino. È impareggiabile descrittore dello scorrere, del fluire della vita, dei suoi incanti, tra sublime e naturalezza. Lo affascina più la gentilezza, il tacito infinito dell'esistenza che l'insondabile e cavernosa oscurità della psiche. "Danubio" è un libro colmo di quei piccoli gesti che lasciano intravedere l'epicità del quotidiano, la profondità che staziona e che aleggia intorno ad un semplice atto, o sguardo, o detto, o moto. L'immediato è imprendibile e irripetibile. Precaria invece la dimostrazione, la storicizzazione, la catalogazione del mondo. E ciò Magris coglie stupendamente quando tratteggia la figura dell'ingegner Neweklowsky che trascorre la vita a tracciare i confini del Danubio superiore, descriverlo palmo a palmo, classificarlo nei tre tomi di oltre duemila pagine dal titolo "La navigazione e la fluitazione del Danubio superiore". Ma, ad un certo punto, quando comincia ad interessarsi del lessico dei battellieri, capisce che la vita non è catalogabile. Meglio guardare i barcaioli cosa fanno mentre gridano e impararne la lingua senza dover aprire ogni momento un vocabolario. Il nostro meticoloso ingegnere concluderà i tre ponderosissimi tomi rinunciando alla compilazione del lessico. Soltanto ascoltando le voci sulle rive del fiume potrà afferrare la parola dei battellieri nel suo irripetibile sapore e colore.
Lungo il Danubio naturalmente si muove col suo peso professorale il Magris uomo di grande cultura e letture. Ma qui ha abbandonato il "genere" saggio scientifico ed è passato alla narrativa: forse soltanto così poteva trovare compimento quel suo modo di scrivere saggi, sempre attentissimi e ricchi, ma stesi con la malinconia di chi sentiva di dovere nel saggio infilzare e disseccare quella farfalla che invece va fissata nell'attimo sfuggente del suo trascolorare. Al modo dei saggi suoi, qui Magris fa ampia rassegna di luoghi, artisti, scrittori. Rapide pagine sono dedicate a Goethe, Lukàcs, Wittgenstein. C'è la casa di Joseph Roth ("grigia, in uno squallore di periferia; le scale sono buie... abitando in questa casa non era difficile diventare uno specialista in malinconia"), la sede centrale dell'IBM un tempo luogo dove Johan Strauss eseguì per la prima volta "Sul bel Danubio blu", e c'è la casa dove è morto Beethoven, il castello dove ha abdicato l'ultimo imperatore, Carlo I, quello che i triestini chiamavano Carlo Piria, ossia imbuto, per via del gran bere; e poi, sui confini dell'Austria, Einsenstad, la città di Haydn, artista la cui vita ed opere appaiono come una delle ultime espressioni di una totalità intatta, come un canto armonioso. E in Bulgaria c'è la casa a tre piani che era la ditta del nonno di Canetti, ora negozio di mobili... Tramontano, rivivono le cose e gli uomini, i grandi e gli umili. Dopo la visita allo studio di Freud Magris passa a descrivere la insolita mattina trascorsa nel cimitero centrale di Vienna: in virtù dei suoi libri sulla Mitteleuropa asburgica il municipio di Vienna gli ha concesso la speciale autorizzazione di starsene accovacciato accanto al cacciatore con fucile e cartucce che con la bonaria tranquillità del giardiniere ripulisce quel campo santo dalle lepri che brucano i fiori delle tombe. Poi, la visita al cimitero dei Senzanome, dove vengono sepolti i cadaveri accolti nel Danubio; e ancora altri cimiteri, i cimiteri privi di tristezza, i cimiteri sulla strada che si allargano nell'erba del prato e giungono sulle soglie di casa: Magris l'incontra verso il confine polacco, collocati semplicemente accanto alla quotidianità anziché in una sezione appartata e rimossa.
"Danubio" non è un libro da consumarsi in un week-end. La struttura di superficie è quella piacevole del viaggio, descrizioni brevi, incontri curiosi, ma la struttura profonda scalfisce e perfora la neutralità del resoconto con buchi strappi e spifferi dai quali arrivano continui sussurri di trascendenza, riflessi dell'infinito.