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15/05/2024 12:05:26

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La leggenda dei monti naviganti

Rumiz Paolo


Editeur - Casa editrice

Feltrinelli

Italia




Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2007

Pagine - Pages

339

Titolo originale

La leggenda dei monti naviganti

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

I narratori


La leggenda dei monti naviganti La leggenda dei monti naviganti  

Un viaggio di settemila chilometri che cavalca la gobba montuosa della balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal Golfo del Quarnaro (Fiume) a Capo Sud (punto più meridionale della Penisola). Parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sulle onde ed evoca metafore marine, come di chi veleggia in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste l'elettricità, incontri grandi vecchi come Bonatti o Rigoni Stern, scivoli accanto a ferrovie abitate da mufloni e case cantoniere che emergono da un tempo lontanissimo, conosci bivacchi in fondo a caverne e santuari dove divinità pre-romane sbucano dietro ai santi del calendario. E poi ancora ti imbatti in parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come Francesco Guccini o Vinicio Capossela. Un'Italia di quota, poco visibile e poco raccontata. Le due parti - o forse i due "libri", alla maniera latina - del racconto, Alpi e Appennini, hanno andatura e metrica diverse. Le Alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti ben illuminati e percorse da grandi strade. Gli Appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l'identità profonda della nazione. Questo racconto di "monti naviganti" è cominciato sul quotidiano "la Repubblica" ed è diventato un poema di uomini e luoghi, impreziosito da una storia "per immagini" della fotografa Monika Bulaj, che ha seguito Paolo Rumiz in alcune tappe di questa avventura.

 


Recensione in altra lingua (English):

Indice
13 Dall'Atlantico alla Cina


LE ALPI


19 1. Dal mare alla Drava

Isole come neri capodogli, 19;
In cerca del Grande Inizio, 23;
I fanti dell'armata perduta, 27;
Valli a capire, gli orsi, 34;
Piatto di lumache a Lilliput, 36;
In cordata con l'uomo nero, 41.

46 2. Dal Tagliamento al Vajont

La casa dalle cento finestre, 46;
Due palombari nel fondo del Tempo, 49;
"Quella notte che vidi il diavolo", 54.

60 3. Dal Piave all'Adige

Il velodromo più lento del mondo, 60;
Perché l'acqua si mise a correre, 64;
Rape rosse per il "barszcz", 68;
Se un violoncello diventa albero, 74;
Le cento grappe di frate Lino, 78.

82 4. Dall'Adige all'Inn

Quando un rottweiler ha paura, 82;
Torniamo piano, nella notte senza Luna, 87;
Tortellini a Brennerpass, 91;
Il turco aveva ragione, 95.

100 5. Dalle Venoste alla Valtellina

Quando Herr Simon scomparve nella neve, 100;
Il capolavoro dell'ingegner Donegani, 105;
Sul bruco rosso dei ghiacciai, 108;
Via di notte, come Tuareg nel deserto, 110;
Dove l'Africa finisce, 115.

120 6. Da Chiavenna al Ticino

Una fanciulla discinta per dopo cena, 120;
L'urlo del mare archeozoico, 123;
Una casa piena di vento, 126;
Dove le frane diventano paesi, 130.

135 7. Dal Rosa al Bianco

Forse nevica in Transilvania, 135;
Qualcosa si è staccato lassù, 138;
"Les pantalons, les pantalons!", 140;
Sembrava il profeta Ezechiele, 142;
D'inverno ti seppelliscono in piedi, 147;
La meringa gigante, 149;
Connaissez-vous Ulysses Borgeat? 153.

156 8. Dal Gran Paradiso a Nizza

Il ritorno di fra Dolcino, 156;
Il vento soffiò ventun giorni di fila, 161;
Una locanda di nome Griselda, 164;
Tutti gli aerei la conoscono, 167;
Profumo di baguette, 169;
E l'orchestra suonò "La gazza ladra", 171.


GLI APPENNINI


179 1. Da Savona alla Trebbia

Tutto cominciò nel buio, 179;
Il rettilineo non accorcia un bel niente, 184;
L'ultima trincea di don Luciano, 191;
Sulle tracce di Gurcio Tignoso, 198;
Persi nella piana ipermercata, 203.

207 2. Dalla Val d'Arda alla Lucchesia

La principessa delle balene, 207;
Zwanzig Personen in Automobili 212;
Il lupo e le signore degli agnelli, 215;
Attenti ai Buioni, 220.

226 3. Dall'Abetone alla Romagna

Le vacche vadano al piano, 226;
L'oro di Felix Pedro, 232;
Il boa che uccide i torrenti, 239;
Mugugni sul fatal sacello, 243;
"I fascisti peggio dei tudòsc", 245.

248 4. Dal Montefeltro ai Sibillini

Il cielo si oscura, governo ladr0, 248;
Donna in nero con temporale, 253;
Hitler, Ginetto e san Severo, 258.

262 5. Dai Monti Reatini al Molise

"Immanis horribilisque specus", 262;
Ottava rima e ragù, 264;
Dove i monti diventano arcipelago, 269;
Dispersi nelle Terre di mezzo, 273;
Del brutto tempo e dei santi, 276;
Vacche lombarde in Terronia, 279;
La nostalgia di Carmelina, 284.

287 6. Dal Sannio all'Ofanto

Un'onda lunga di alture viola, 287;
"Statale 17, sembri esplodere di sole", 290;
Sulle ali dello spirito santo, 292;
Inno ai cornuti volontari, 296.

302 7. Dagli Alburni al Pollino

Praticamente Armageddon, 302;
"Sali, la Madonna ti aspetta", 307;
Dell'inevitabilità del viaggiare, 310;
Dove Nerina si svela una signora, 315.

318 8. Dal Crati a Capo Sud

Guida al centro e avanti, 318;
Gamberoni verdi sul parabrezza, 321;
Il miracolo di Santa Maria Assunta, 325;
Nella Bocca del vento, 328;
L'ultima dea di pietra, 334;
Una birra, una tovaglia, la risacca, 337.


Recensione in altra lingua (Français):

"Questo libro racconta la più lunga traversata italiana: ottomila chilometri, la stessa distanza che c'è dall'Atlantico alla Cina. Spiega in dettaglio cosa succede dentro l'Arca, la montagna di casa nostra, metaforica zattera con a bordo una ciurma di piccoli grandi eroi della resistenza dei territori.
Ero partito per fuggire dal mondo, e invece ho finito per trovare un mondo: a sorpresa, il viaggio è diventato epifania di un'Italia vitale e segreta. Ne ho scritto con rabbia e meraviglia. Meraviglia per la fiabesca bellezza del paesaggio umano e naturale; rabbia per il potere che lo ignora.

Come ogni vascello nel mare grosso, la montagna può essere un insopportabile incubatoio di faide, invidie e chiusure. Ma può essere anche il perfetto luogo-rifugio di uomini straordinari, gente capace di opporsi all'insensata monocultura del mondo contemporaneo.

Contro questi "giardinieri di Dio" — elfi guardiani dei loro microcosmi e garanti dell'equilibrio ambientale della nazione — si sono accaniti in tanti: il fascismo, l'assistenzialismo dc, il monopolismo berlusconiano, l'arroganza della giovane sinistra, la grande distribuzione e persino gli alti prelati.

Il risultato è che la montagna — pur essendo la spina dorsale fisica del paese — è totalmente scomparsa, guarda caso con la Resistenza, dalla politica e persino dall'immaginario nazionale. Sia le Alpi sia gli Appennini restano mondi subalterni, privi di autostima e di rappresentanza politica.

Oggi, a viaggio finito, so che dietro ogni alluvione, dietro ogni siccità, dietro ogni emergenza climatica, non vi è solo l'effetto serra, ma anche la guerra sistematica del potere contro le periferie più vitali, quelle capaci di tenere vivo il territorio e di impedirne la devastazione finale.

Con il passare dei chilometri, il racconto cambia, prende andatura e profondità, diventa più italiano e partigiano. L'iniziale zigzag di superficie, spezzato da sconfinamenti e discontinuità di tempo, acquista unità, scende a quota periscopio, e il diario sui luoghi diventa ricerca di persone.

Sull'Appennino, percorso con una gloriosa utilitaria postbellica, il viaggio va definitivamente in immersione ed evita i luoghi rinomati del Baedeker. Le Alpi, catena egemone, perdono il primato; diventano "ouverture" della cavalcata terminale fra i due mari, dentro l'anima del paese.

Avvicinandosi al grande faro dell'Aspromonte, succede che l'esplorazione tra i monti scopre un mondo sempre più femminile, sempre più arcano, e diventa incontro con gli dèi in esilio. Dèi partigiani anch'essi, costretti alla macchia dal dilagare del brutto, dell'ignoranza e della volgarità.

Lontano dai luoghi della finzione e del frastuono, ho attraversato a volte una soglia invisibile e scoperto luoghi dello spirito: eremi, fonti, santuari, boschi millenari, a volte semplici toponimi. Soprattutto piccole valli, orientate come antenne paraboliche verso un silenzio planetario.

In questi spazi la parola – il logos – sembra riacquistare senso e rigenerarsi come in una cassa armonica. Qui il pensiero si espande naturalmente, e naturalmente incontra il Sacro, se non altro per il bisogno fisico di superare i contrafforti che gli chiudono l'orizzonte.

Mi piace pensare che tali luoghi contengano i codici criptati – illeggibili ai barbari – della resistenza all'annientamento, memorie orali antichissime dei princìpi della vita. Senza questi invisibili rifugi, probabilmente la montagna si sarebbe desertificata da tempo.

Non è un caso, credo, che nei labirinti della Cappadocia, miracoloso giardino annidato nel cuore roccioso dell'Anatolia, le genti abbiano nutrito per secoli monaci e anacoreti abbarbicati a chiese rupestri, affinché questi garantissero la continuità del mondo con le loro preghiere. Poiché coltivo l'illusione che grazie a questi luoghi il mondo eviterà la catastrofe, ho pensato fosse giusto non svelarli del tutto. In certi casi, mi sono limitato a dare solo vaghe tracce topografiche. In altri, ho depistato il lettore, imbrogliato le carte o taciuto completamente.

Non dico, per esempio, dove abita un boscaiolo che parla con le fonti e dove vive un pastore capace di intessere, con una pianta simile alla rafia, mantelli da pioggia identici a quello dell'uomo del Similaun. A ciascuno il suo viaggio, a ciascuno il suo dialogo con la mappa del paese.

Che i politici scendano dai loro elicotteri e imparino a camminare; o l'Italia diverrà in breve una terra di locuste e avremo non una, ma mille banlieues di furore. Le periferie bastonate si vendicano, e la montagna è periferia. La Lega Nord, scesa dalle valli, è stata solo il primo segnale di un malessere.

Ne La secessione leggera (1998) ho raccontato lo spaesamento, il mugugno e gli pseudo-miti etnici del Nord, il suo divorzio dalla res publica e dal territorio, segnalato dal collasso delle acque padane. Qui ho cercato l'altra faccia della Luna: l'Italia del buon incontro, aperta e solidale.

Dietro la metafora delle montagne che emergono dal mare e navigano come una grande Armada, è uscita talvolta l'immagine di un'Italia dai contorni di leggenda: da qui la scelta di questo strano titolo che unisce senza volerlo tre nessi consonantici in un perfetto endecasillabo.

Questa traversata sovraccarica di luoghi minori è un approfondimento di due grandi viaggi compiuti per "la Repubblica" sulle Alpi e sugli Appennini. Fatti rispettivamente nel 2003 e nel 2006, sono stati una base d'indagine forte e mi hanno consentito di entrare nella parte segreta del paese.

Senza le opportunità offertemi dal mio giornale, difficilmente avrei potuto applicare lo stetoscopio a questi luoghi senza voce, nascosti fra le vertebre della lunga schiena nazionale. Oggi più di ieri sono convinto che compito dei media sia anche raccontare le terre del silenzio."


Recensione in lingua italiana

E’ un viaggio speciale quello che Paolo Rumiz ci propone in questo suo nuovo libro fatto di racconti sui popoli e sulle regioni d’Italia, e delle nazioni che la circondano. Speciale perché si muove sulle montagne, lungo le Alpi e la dorsale degli Appennini, ma al tempo stesso parte dal mare della Dalmazia di fronte a Fiume, per concludersi nel punto più meridionale d’Italia, sulla spiaggia di Melito di Porto Salvo, in Calabria. L’inviato di Repubblica si sposta come un navigante che veleggia tra le montagne emerse e ciò spiega il titolo, curioso, La leggenda dei monti naviganti, perché – scrive Rumiz – “per le avventure ci si imbarca, anche quando sono avventure di terra”.
Rumiz viaggia in bicicletta, o a bordo della mitica Fiat Topolino 500, quella della canzone di Paolo Conte, incontra storie, personaggi e identità sperdute tra le pieghe dello Stivale, si sofferma su aspetti nascosti che sfuggono agli occhi del turismo di massa, ma anche di quello più elitario. Eremi, santuari, fonti, boschi millenari: un viaggio antropologico variegato che attraversa le vallate subalpine, i passi appenninici, coglie la bellezza dei laghi lombardi e dei colli toscani, si trattiene all’interno di necropoli antiche e si scioglie al sole accecante delle spiagge levantine. La narrazione è intrisa di considerazioni su usi e costumi dell’italica gens, è ricca di incontri umani toccanti, con figure affascinanti di pastori e viandanti, con guide alpine e montanari saggi e isolati, con scrittori come Mario Rigoni Stern, con l’alpinista Walter Bonatti, anche con i cantautori “in cerca di radici” Francesco Guccini e Vinicio Capossela.
Questo possente racconto di uomini e luoghi, cominciato come reportage sulle pagine di Repubblica, vive anche attraverso una storia per immagini della fotografa Monika Bulaj che, insieme ad altri “compagni di strada” come l’attore Antonio Cederna, ha seguito Paolo Rumiz in alcune tappe di questa avventura