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08/10/2024 18:15:20

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Le voci di Marrakesh

Canetti Elia


Editeur - Casa editrice

Adelphi

Africa
Africa del Nord
Marocco


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2004

Pagine - Pages

126

Titolo originale

Die Stimmen von Marrakesch – Aufzeichnungen nach einer Reise

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Biblioteca Adelphi

Ristampa - Réédition - Reprint

2000

Traduttore

Nacci B.


Le voci di Marrakesh Le voci di Marrakesh  

Una descrizione della vita e dell’atmosfera della città marocchina, in cui lo scrittore (premio Nobel per la letteratura nel 1981) soggiorna per un periodo nel 1954: mentre gli inglesi ed i francesi del posto gli appaiono estranei, egli sente una grande comunicativa con gli abitanti, tanto da identificarsi quasi con essi. La descrizione del suk, il mercato, con i venditori accovacciati a formare quasi un tutt’uno con le proprie merci, dove molti vendono e producono le merci nello stesso luogo, sotto gli occhi dei compratori, è precisa e profonda: “E’ sorprendente la dignità che acquistano in tal modo questi oggetti fabbricati dall’uomo”. E ancora: “E’ una pubblica attività, è un fare che esibisce se stesso insieme all’oggetto finito. In una società che tiene nascosto così tanto di sè, che agli stranieri cela gelosamente l’interno delle sue case, la figura e il volto delle sue donne e perfino i suoi templi, questa intensa ostentazione del produrre e del vendere è doppiamente affascinante”.
_________

Elias Canetti soggiornò per un certo periodo del 1954 a Marrakech. In questo periodo lo scrittore sentì il bisogno di nuove voci, di voci incomprensibili, come quelle che lo avvolsero nella splendida città chiusa dalle sue mura.
Fra quelle parole una sola era per lui riconoscibile: Allah.
Gli inglesi e i francesi del posto gli apparvero estranei, mentre "gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso".
Vagando per i suk, per le strette vie dai muri quasi senza finestre, per i mercati e le piazze, fra cammelli, mendicanti, cantastorie, donne velate, marabutti, ciechi, commercianti, captando forme e suoni con la sua stupefacente prensilità, Canetti si trovò un giorno in una piccola piazza rettangolare, ronzante di molteplice vita, al centro della Mellah, il quartiere degli ebrei. "Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di avere raggiunto la meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto ritornava in me. Trovavo nella piazza l'ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di essere sempre quella piazza".
Tornato a Londra, mentre lavorava a questo libro, che ha la perfezione e la compattezza dell'istantaneo, Canetti scriveva nei suoi quaderni di appunti: "Anche qui, da quando sono tornato, nulla si è cancellato. Tutto acquista una luce ancora più intensa. Io credo che con una semplice descrizione di quello che ho visto, senza modifiche, invenzioni, esagerazioni, mi sia possibile costruire in me una nuova città ... Non si tratta di qualcosa di immediato, che io ora abbia intenzione di metter giù sulla pagina, ma solo di un nuovo fondamento: un altro spazio, non sfruttato, in cui posso stare; un nuovo respiro, una legge innominata". E permanevano in lui strane sensazioni: "A Londra, dopo Marrakech. Sta seduto in una stanza con dieci donne sedute a vari tavolini, tutte non velate. Lieve irritazione".

 

Consulta anche: "Il sosia che io sono" di Franco Romanò (nel sito di "Ulisse")

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