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Grande bevuta (La)

Daumal René


Editeur - Casa editrice

Adelphi

Mondo




Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

1997

Pagine - Pages

246

Lingua - language - langue

Italiano

Edizione - Collana

Biblioteca Adelphi

Traduttore

B. Candian

Curatore

C. Rugafiori

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La grande bevuta

Grande bevuta (La) Grande bevuta (La)  

Da la Repubblica.it 18/4/1985
IO SONO UBRIACO E LO SO
Negli anni tra il 1922 e il '24, a Reims, alcuni liceali hanno formato una piccola comunità iniziatica. Sono Renè Daumal, Roger Gilbert-Lecomte, Robert Meyrat, Roger Vailland, Pierre Minet. Si sono dati il nome di "semplicisti". Il semplicista è colui che conosce i segreti delle erbe; i ragazzi di Reims sono affascinati dai segreti della natura umana. Applicando il metodo dell' esperienza volontaria e controllata, cercano di esplorare i fenomeni liminali, alla frontiera tra visibile e invisibile, tra percezione e visionarietà. Seguono l' esaltante tentazione di provare la possibilità di una "metafisica sperimentale", vogliono sfidare la coscienza e saggiarne i supposti confini. Provvisti per il momento di poca dottrina ma di molta fantasia, trovano spontaneamente tecniche assai precise per provocare l'autoipnosi, l'allucinazione, lo sdoppiamento; per allenarsi alla concentrazione; per simulare la follia. Un professore di filosofia, Renè Maublanc, diventa amico dei "semplicisti" e li addestra alla cosiddetta visione "extraretinica". Il più interessato a questa esplorazione è Daumal, che in quattro anni compie sotto la guida di Maublanc più di ottanta sedute. Il più ardito del gruppo, e anche il più dotato di poteri psichici, il più lucido e razionale, è proprio lui, Daumal. Escogita un minuzioso e difficile procedimento per uscire dal proprio corpo mentre se ne sta disteso e completamente rilassato sul letto (può darsi che voglia imitare Il vagabondo delle stelle di Jack London); più tardi imparerà che la scienza occulta conosce quella tecnica dai tempi più remoti.
"Visto dall'esterno, mi addormentavo. In realtà vagavo senza sforzo - e perfino con la facilità disperante che conoscon bene coloro che ricordano di essere stati dei morti - camminavo, e immobile mi vedevo al tempo stesso camminare in quartieri della città assolutamente sconosciuti". Il lettore sarà rimasto sorpreso dalla frase contenuta nell'inciso: coloro che ricordano di essere stati dei morti. Ebbene, il giovane Daumal ha fatto anche questa rischiosa esperienza. Osservando gli effetti del tetracloruro di carbonio sui coleotteri, che preparava chimicamente per infilzarli poi nella sua collezione, aveva pensato di applicarlo a se stesso, impregnandone un fazzoletto; in tal modo avrebbe sperimentato l' asfissia e il punto di passaggio dalla vita alla morte. L'esperimento fu ripetuto più volte, e sempre Daumal ebbe coscienza come dell'approssimarsi di una cosa "innominabile e spaventosa", il sopravvenire di una identità e insieme il ritrovarsi in un punto eccentrico del Tutto, un punto di fuga, non coincidente né con l' integrità del Tutto, nè con l'assoluto annientamento. Quando nel dicembre del ' 24 Daumal e Gilbert-Lecomte, che stanno sperimentando una scrittura ispirata alla grazia del gesto e scrostata di ogni abitudine, scoprono in libreria La Rèvolution surrèaliste, constatano che nella capitale c'è gente simile a loro. Ma ben presto si convincono di essere in uno stadio più avanzato. Tra il '26 e il '27 i "semplicisti" di Reims si trasferiscono avventurosamente a Parigi, intenzionati a fondare una rivista che sorpasserà il surrealismo, come questo ha sorpassato Dada. Si chiamerà Le Grand Jeu.
Al surrealismo, alla sua magnificenza retorica e al suo gusto gratuito per il meraviglioso, Daumal e Lecomte oppongono il loro gioco ascetico e il rischio della conoscenza essenziale. Il primo numero del Grand Jeu esce nel ' 28. Breton e Aragon tentano con tutti i mezzi, subdoli e terroristici, di integrare i pericolosi concorrenti nel loro movimento. Ma Daumal e i suoi amici non si lasciano irretire o sopraffare. D'altra parte, Le Grand Jeu dura poco, appaiono tre fascicoli e nel ' 32 il gruppo si disintegra per ragioni interne; c'è un distacco e quindi una rottura tra il razionalista Daumal e Gilbert-Lecomte, che prende la via regressiva della droga. E', del resto, esaurito il tempo delle ricerche collettive. Però, intanto, il confronto con Breton ha consentito a Daumal di mettere in campo il suo tema dominante; e negli anni successivi ci scriverà sopra un libro di singolare vivezza, La gran bevuta (ristampata da Adelphi, traduzione di Bianca Candian). Le tecniche surrealiste, dice in sostanza Daumal, e s'intende la scrittura automatica, l'onirismo e così via, in certi casi possono costituire eccellenti mezzi di indagine.
Disgraziatamente per i surrealisti, diventano troppo presto mezzi per pensare, meccanismi pensanti, in altre parole mezzi per dormire, per non aver da pensare. Questa osservazione è ineccepibile, e dal punto di vista di Daumal micidiale. Quanto egli disti da Breton si può misurare leggendo un testo bellissimo e tormentato del 1926, Mugle (edizioni Il Cavaliere azzurro, pagg. 72), apparentemente vicino alla prosa surrealista di quegli anni. Daumal è agli antipodi dell' empirismo magico di Breton, e si aggiunga che non ha problemi di potere culturale, non si sente un leader. Cerca ancora una disciplina contro l' angoscia dell' inutilità. E' profondamente attratto dal pensiero non-dualista (Eraclito, Spinoza, Hegel, la filosofia vedica), e sente l' irresistibile richiamo della tradizione burlesca rappresentata da Rabelais e dalla patafisica di Jarry. Da queste premesse nascono i saggi, le poesie, le due opere narrative di Daumal, una delle quali, la più famosa, Il monte analogo, uscì postuma e incompiuta (l'autore morì di tubercolosi a trentasei anni nel 1944). Se si eccettuano le poesie, rimaste finora un po' nell'ombra, conosciamo in Italia quasi tutti gli scritti di Daumal, grazie a Claudio Rugafiori, che ne ha curato la pubblicazione presso l'Adelphi. Ora, come dicevo, l'editore ha ristampato La gran bevuta, l'unico libro degno di accompagnare le Gesta patafisiche del dottor Faustroll di Jarry. Divertimento filosofico, trattatello pedagogico, esilarante iniziazione alla conoscenza degli errori che intrigano la mente umana, il libro si ispira alla metafora rabelaisiana del bere.
La sete di sbornia, la voglia di ebbrezza è la prima condizione per raggiungere la lucidità di quella ebbrezza sobria che ci fa intravedere la chiarezza del risveglio (dove la parola risveglio va intesa in un senso non lontano dalla forza che ha nella dottrina buddista). Si ha sete di esistere, di conoscere, di stordirsi, di sfuggire alla pochezza, alla noia, al dolore. Si ha sete perché si ha sete. E, come dice la massima di Daumal, quando si dorme, si beve male; massima apparentemente assurda che si spiega alla luce di quest'altra: "mentre la filosofia insegna in che modo l'uomo pretende di pensare, la bevuta mostra in che modo pensa". L'uomo pensa fabbricandosi retoriche e oggetti inutili, inoltrandosi nei paradisi artificiali, accomodandosi alla mediocrità e all' inerzia, all'avidità di fingersi dentro un sogno, in una sbornia di illusioni. Vive in uno stato embrionale, barcollando da un piano all' altro dell' esistenza. Questo è il tema della prima parte, tema che stenta buffamente a delinearsi negli inani discorsi tenuti da vari personaggi, così come stenta a delinearsi una figura agli occhi di chi ha bevuto troppo e continua a bere.
Alcuni dei personaggi sono a chiave: Amèdèe Gocourt è Breton, il giovane Marcellin impersona i poeti del Grand Jeu, il vecchio saggio Totochabo rappresenta Salzmann, un guru della scuola di Gurdjieff (Daumal ne aveva seguito per qualche tempo l'insegnamento). La seconda parte, la più cospicua, è una sarcastica esplorazione del comune mondo moderno visto come un mondo alla rovescia. Dopo le ebbre e sconnesse conversazioni a cui abbiamo accennato, le quali si svolgono in una specie di taverna o cantina, il narratore si trova scaraventato più in alto, in una infermeria dove si prestano cure agli squilibrati, ai disubriacati perché imparino gradualmente a sopportare la bevuta. Il narratore viene poi condotto a visitare il paradiso degli incurabili, dove incontra tra gli altri i Fabbricatori di discorsi inutili (i Pwatt, i Ruminzieri e i Kirittiki). Al centro della città visita i quartieri abitati dagli Esplicatori (gli Scienti e i Sofi), il cui motto è SO TUTTO, MA NON CI CAPISCO NIENTE.
Categorie più sofisticate son quelle degli Abissologi, dei Borborigmomantici e dei Logologi (ovvero gli Esplicatori di esplicazioni). Infine si arriva al cospetto degli enti divini, gli Arci, tra i quali spicca l' Arcilinguista, supremo decifratore e legislatore delle nostre espressioni verbali. Nella terza parte del libro, l' iniziando giunge finalmente alla scoperta decisiva e rigorosamente patafisica: che nel mondo tutto si altera e muta, tutto si trasforma, tranne l' uomo; perciò costui si distingue tra tutti gli animali del pianeta per la sua "aria sbalordita e malcontenta". Dai nostri pochi cenni si capisce che nella Gran bevuta la finzione narrativa è appena un pretesto allegorico per compiere una schedatura di tutti i falsi pensare e i circoli viziosi del discorso. Libro altamente pedagogico, questa Gran bevuta, di gelida e corroborante allegria. Ma di cui è assai difficile parlare. Parlandone, si ha il sospetto di renderlo banale. Illusione ottica? Banale è la vita infilzata nelle schede semiserie (si dovrebbe dire buffoserie) di Daumal.
di ALFREDO GIULIANI