Il libro presenta un affresco generale dell'evoluzione proposto attraverso l'indagine delle profonde analogie fra l'evoluzione delle culture e l'evoluzione biologica. Il grande genetista di Stanford presenta in questo volume il manifesto della sua prospettiva storica sulla cultura umana. L'ipotesi, emersa dopo decenni di studi comparati di genetica, antropologia fisica, archeologia e linguistica è che, pur con notevoli differenze, alcuni meccanismi e fattori evolutivi, come la mutazione, la selezione naturale, la migrazione, la trasmissione e la deriva possano essere comparabili.
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La razza non esiste il razzismo sì.
Le razze non esistono,ma il razzismo sì, purtroppo. Così in estrema sintesi, il documento approvato dal congresso dell' Associazione Americana per il Progresso delle Scienze (Aaas), che si è appena tenuto a Atlanta in Georgia. «Manifesto dell'ugualianza» sarà trasmesso alle Nazioni Unite, con l'invito a aggiornare i documenti dove si usa la parola razza. Il nostro obbiettivo - ha dichiarato all' ANSA il promotore del manifesto, Salomon Katz, dell' universita Pennsylvania - è fornire la base scientifica per confutare uno dei pregiudizi più dannosi di ogni tempo, il razzismo. Il documento afferma che tutti i popoli della terra derivano da un gruppo ancestrale comune, che non esistono razze "pure", cioè geneticamente omogenee e che nessun gruppo possiede in esclusiva le caratteristiche migliori per la sopravvivenza della specie. Tra i protagonisti dell' iniziativa c'è anche Luigi Cavalli Sforza, professiore alla Stanford University, uno dei più noti specialisti in genetica delle popolazioni. Nell' occasione ha ribadito un punto di vista molto netto: "La parola razza non ha senso per uno scienziato".Infatti , ha aggiunto, tra gli esseri umani vi sono sì differenze superficiali, ma sono la causa dell'adattamento al clima.
I diversi colori della pelle fanno pensare che ci siano razze distinte ma se si guarda sotto la pelle si vede che non è così.
In altre parole: se si confrontano i caratteri fisici di un abitante della regione sud Sahariana e di un aborigeno dell' Australia, verrebbe da dire, a prima vista che i due sono assai simili, forse addirittura della stessa razza: naso schiacciato, carnagione scura, capelli crespi eppure, dal punto di vista scientifico, cioè dal patrimonio genetico un finlandese è più simile a un nero dell' Africa di quanto quest'ultimo lo sia dell' australiano. I genetisti lo dimostrano facendo la mappa del genoma umano, la sequenza di geni che ognuno eredita dai genitori. Si tratta di identificare un certo numero di posizioni lungo i geni, dei marcatori, e di controllare, nei diversi campioni, che differenze ci sono.
Ebbene, proprio confrontando le somiglianze e le diversità nella lunga doppia elica del DNA, risulta chiaro che soltanto alcuni geni entrano in gioco per determinare i caratteri fisici più evidenti, come pelle colore degli occhi ecc.
Ma sono soltanto alcuni, pochissimi, rispetto all'altra grandissima parte del genoma . Gli studi che Cavalli Sforza ha condotto prima sulle popolazioni europee ( esiste in proposito un suo ottimo libro dal taglio divulgativo : Chi siamo. La storia della diversità umana - Mondadori, 1993 ) dimostrano tra l' altro quanto sia difficile stabilire degli stacchi netti tra popolazioni e sotto-popolazioni. Infatti nel corso dei millenni, e grazie alle migrazioni il mescolamento, è stato vistoso, sì che oramai di "razza pura" si può parlare solo per alcuni animali di allevamento, accuratamente selezionati e incrociati tra parenti. E per fortuna : non solo la mescolanza ha prodotto benefici sociali e culturali, ma, anche dal punto di vista biologico, gli incroci tra popolazioni diverse contribuiscono (per gli uomini come per gli animali e le piante ) a rendere più robusta e variabile la specie. Davvero la diversità è un valore per la sopravvivenza e per lo sviluppo. Ciò non significa , ovviamente, che esistono tuttora differenze significative a livello di geni tra le diverse popolazioni.
Per esempio uno studio recentissimo, pubblicato sulla prestigiosa rivista medica Lancet, segnala che probabilmente gli abitanti dell'India sono geneticamente più " predisposti " a diabete e a attacchi di cuore. Dove" predisposto" va inteso con giudizio: nel senso che se la dieta è quella occidentale, diventeranno facilmente grassi e esposti all'infarto, se invece è quella indiana, ricca di frutta e vegetali, si ammaleranno molto meno: ancora una volta geni e ambiente non sono rigidamente separabili. Anche sulla base di tali ragionamenti diversi tra gli scienziati riuniti a Atlanta hanno esplicitamente polemizzato con il successo editoriale dell'anno, il libro The Bell Curve che pretende di dimostrare, con ricerche più che discutibili, l'inferiorita genetica, quanto a intelligenza, dei neri rispetto ai bianchi e agli asiatici.
Franco Carlini - "il Manifesto" - 23/2/95 |