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18/04/2024 06:09:24

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La mente del viaggiatore

Dall'Odissea al turismo globale

Leed Eric J.


Editeur - Casa editrice

Il Mulino

Viaggio
Viaggio
Viaggio


Città - Town - Ville

Bologna

Anno - Date de Parution

2007

Pagine - Pages

392

Titolo originale

The Mind Of The Traveler : From Gilgamesh To Global Tourism

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Storica paperbacks

Ristampa - Réédition - Reprint

1992

Traduttore

Mannucci J.


La mente del viaggiatore La mente del viaggiatore  

recensione di Giovannone, G., L'Indice 1993, n. 8

Adoro la letteratura di viaggio, detesto viaggiare: meglio dichiararlo subito, perché è possibile che molte delle critiche avanzate di seguito derivino in parte da personalissime idiosincrasie extratestuali. Non è il caso, credo, di quelle relative allo stile argomentativo del libro, che rifugge dall'oggettività a favore di una suggestività piuttosto 'cheap', affidata a evocazioni e citazioni che sfociano poi in funambolici parallelismi volti a dimostrare, ogni volta, la centralità del viaggio come motore della storia, della società, della modernità. Non credo ci fosse bisogno di scomodare Frederik Barth, William James o Paul Bowles per sostenere che il viaggio "fornisce una prospettiva esterna e comparativa su ciò che è familiare", o che, annullando "l'egoismo della specie", esso crea un forte senso di relativismo culturale. E avevamo sempre sospettato che "se la gente e il suo modo di vivere fossero uguali dappertutto, non avrebbe molto senso spostarsi da un posto all'altro", n‚ ci sorprende che il transito possa essere visto come un modo di "negare il tempo attraversando lo spazio". Il lettore poi si accorgerà ben presto di alcune imbarazzanti contraddizioni nella ricostruzione di alcuni fenomeni storici, come la distinzione, prima sostenuta e poi negata, tra viaggio antico (Gilgamesh, Odisseo) e moderno, dell'impatto del transito sulla famiglia preindustriale e su quella contemporanea o del significato del viaggio nel medioevo (affermazione di identità o mezzo di elevazione sociale?). La fragilità dell'argomentazione non toglie nulla, è vero, al valore storiografico della parte centrale del libro, dedicata al viaggio scientifico e filosofico (capp. V, VI e VII), n‚ alla suggestività autentica di quella che Paolo Cassetta sul "manifesto" del 1| maggio 1992 ha definito, pur non ritenendola convincente, una delle tesi forti del libro, quella per cui la condizione stanziale, la territorializzazione dell'umanità sarebbe un'impresa della mobilità, che avrebbe generato quel bisogno di stabilità e armonia tra gruppo e luogo raggiunto faticosamente nella storia del viaggio. E tuttavia non è su questo piano che si gioca il senso, la ragion d'essere di "La mente del viaggiatore", il cui contributo alla ricostruzione della storia del viaggio mi pare difficile da definire.
La vera tesi "forte" di Leed è quella adombrata dal titolo stesso dei capitoli cruciali del libro, "Transitare" e "Il viaggio e le trasformazioni dell'individuo", la cui ambizione è quella di ritagliare per il viaggiatore uno statuto psicologico, gnoseologico e filosofico istituzionalmente diverso da quello dei suoi simili.
La prospettiva è netta, radicale: "Il transito è una sequenza di movimento che produce trasformazioni del carattere e persino un'identità, nella misura in cui è scelto, ed è scelto per se stesso, non per scopi e mete estrinseche". Una prospettiva che nega decisamente le concezioni del viaggiatore come "estraneo" (Simmel), "uomo marginale" (Park e Stonequist), "Figura liminale" (Victor Turner) o, meglio, le assume rovesciandole di segno. È vero, scrive Leed, la visione del viaggiatore è necessariamente superficiale, esteriore e povera, ma è proprio la sua ambiguità strutturale, il suo essere senza luogo, sospeso in una zona interstiziale, la sua assenza di rapporti con un contesto sempre mutevole a farne una figura dotata di una diversa capacità percettiva e conoscitiva.
L'oggettività, la trasformazione del fenomeno osservato in una "cosa" senza scopo, n‚ intenzione, n‚ soggettività, non è una caratteristica negativa, in quanto l'esclusione del viaggiatore dagli aspetti interiori della "cosa" fa sì che egli acquisti un'acuta, superiore capacità di coglierne superfici, forme e funzioni.
Nasce da qui un'equazione più volte sottolineata tra sguardo del viaggiatore e sguardo dello scienziato, una convergenza che avrebbe presieduto tra il Cinque e il Seicento, alla nascita della scienza moderna. Sarebbe tuttavia riduttivo considerare questo l'unico, o anche il principale esito del ragionamento di Leed. L'incredibile affastellarsi di citazioni, da Boswell a Kerouac, da Della Valle a Joan Didion passando per Darwin, Kinglake, Diodoro Siculo, Goethe e infiniti altri, le implicazioni filosofiche suggerite (il viaggiatore realizzerebbe la visione della forma "pura" delle cose, indipendentemente dagli "accidenti" fenomenici) e il costante parallelismo tra il transito e gli studi di James Gibson sul ruolo della locomozione sulla percezione, testimoniano l'ambizione di delineare una vera e propria teoria, più che una storia, del viaggio.
Difficile giudicare della "tenuta" di questa teoria, anche se si può osservare che il passaggio dalle suggestioni alle esemplificazioni è spesso deludente. Così, la promettente riflessione sull'identità personale e sociale che non avrebbe un fondamento oggettivo ma si creerebbe con specchi e riflessi ("non c'è un 'io 'senza l'altro' "), si riduce al fatto che il viaggio offre la possibilità di inscenare un teatrino in cui si possono cambiare a piacimento ruoli, maschere e costumi di scena: mi sembra che questo stiano ad indicare le esperienze di Boswell e Della Valle, che Leed tenta inutilmente di trasfigurare in eventi metaforici.
Senza entrare nel merito, si può forse affermare che il libro è innanzitutto una fervida, appassionata dichiarazione d'amore per il viaggio che si nutre delle motivazioni e fascinazioni che da sempre lo hanno accompagnato, ma alle quali Leed tenta di attribuire nuove valenze e significati. Le frequenti citazioni da Alexander W. Kinglake, ad esempio, denunciano una concezione romantica che fa tutt'uno con il riconoscimento del "sovversivismo sociale" del viaggio. Ed è su questo piano, per così dire "ideologico", che si possono avanzare le obiezioni degli "stanziali", osservando come quello del viaggio sia un sovversivismo programmato, in cui non ci sono n‚ scoperte n‚ avventure ma conferme, e questo non solo oggi, nell'epoca del turismo globale, ma a partire almeno dal 'grand tour' settecentesco. Si parte, si è sempre partiti per scoprire ciò che ci si aspetta di scoprire, raramente andare sul posto porta a sostanziali reinvenzioni di se stessi e dei propri schemi culturali. È stupefacente notare, nella maggior parte della letteratura di viaggio, l'impossibilità di un rapporto tra l'osservatore in transito e le realtà che attraversa. E, quando questo rapporto si attua, non sempre si traduce in un incontro, ma implica il più delle volte tensione, disagio, sofferenza. Gli antropologi e i linguisti hanno elaborato a questo proposito il concetto di 'culture shock', un misto di ostilità, frustrazione e nostalgia che nasce quando sentiamo la nostra identità minacciata dalle differenze culturali. Non solo. Raymond Williams ha dedicato pagine commoventi alla critica sociale di D.H. Lawrence e George Orwell, nella quale egli ravvisa da un lato il facile fascino dello sguardo dell'outsider, dall'altro quei limiti di credibilità derivanti dall'eccessiva libertà, sinonimo, in ultima analisi di irresponsabilità, gratuità, ininfluenza. Il fortissimo bisogno di costrizioni e doveri sociali, la disperata nostalgia di appartenenza alla propria comunità da parte di coloro che per scelta o necessità se ne sono estraniati e vivono a condizione dell'esilio mi fanno personalmente dubitare dell'entità, del valore e dell'equità del prezzo da pagare per le acquisizioni che si accompagnano al transito. Soprattutto se, come accade in questo libro, si pretende di parlare del viaggio pensando di poter escludere dall'orizzonte il tema del ritorno, che per molti è del viaggio il fine segreto, la motivazione più struggente.

 



Biografia

Eric J. Leed ha insegnato Storia nella Florida International University. Tra i suoi libri: "Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale" e "La mente del viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale", entrambi tradotti dal Mulino (1985 e 1992).