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20/04/2024 12:10:36

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Alla terra dei Galla

Narrazione della spedizione Bianchi in Africa nel 1879-80

Bianchi Gustavo


Editeur - Casa editrice

Fratelli Treves

Africa
Africa Orientale
Etiopia


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

1896

Lingua - language - langue

italiano

Prefazione

A. Brunialti


Alla terra dei Galla Alla terra dei Galla  

Illustrata da Ed. Ximenes sopra schizzi dell'autore.
164 Incisioni e la copertina a colori.

 



Recensione in lingua italiana

Gustavo Bianchi nacque a Ferrara il 24 agosto 1845 da Luigi Bianchi e da Carolina Pagliarini.

Appena decenne, si trasferì con la famiglia ad Argenta. Compiuti gli studi al collegio militare di Ivrea, e poi a Bologna, entrò all'Accademia militare di Modena; e nel 1866 col 49° reggimento di fanteria partecipò alla campagna contro l'Austria.

A causa di una miopia qualche anno dopo lasciò l'esercito e s'impiegò a Milano come contabile in una ditta commerciale. Insoddisfatto di questa attività, cerco di partecipare a qualche spedizione in Africa, accogliendo l'idea lanciata dall'on. L. Canzio sul giornale Il Sole (7 sett. I878). Con l'aiuto di alcuni industriali e commercianti di varie città d'Italia e con un contributo dello Stato, la spedizione, a carattere misto commerciale e geografico, fu affidata a P. Matteucci e partì da Napoli il I4 nov. I878: oltre a Gustavo Bianchi, vi parteciparono F. Filippini, E. Tagliabue, C. Legnani, P. Vigoni e V. Ferrari.

Dopo una sosta di quattro mesi tra Massaua e Adua, il gruppo prosegui per Debra Tabor, dove si trovava il campo di re Giovanni, e dove giunse il 29 maggio I879. Mentre gli altri componenti la spedizione proseguivano per direzioni diverse, il Bianchi si trattenne a Debra Tabor, desideroso di assolvere ai compiti assegnatigli dalla Società di esplorazione commerciale.

Scopo principale della missione era quello di studiare le possibilità di esportazione di prodotti italiani nel Goggiam. Il Matteucci, dopo primi contatti col re, rientrò ben presto in Italia, esprimendo però giudizi sostanzialmente negativi sui risultati raggiunti dalla spedizione.

Gustavo Bianchi, rimasto a Debra Tabor, girò in lungo e in largo il paese inviando interessanti relazioni alla Società. Nel novembre partì per lo Scioa e a Let Marefià s'incontrò con O. Antinori, P. Antonelli e S. Martini. Nell'aprile 1830 rientrò nel Goggiam, percorrendo i paesi Galla e la zona del Guraghe.

Tornato in Italia nel marzo 1881 Gustavo Bianchi ricevette grandi onori e riconoscimenti, ricevendo una medaglia d'oro dalla Società geografica italiana. Presentò una relazione commerciale alla Società di esplorazione, sostenendo che scarse erano le possibilità di importazione in quelle zone, mentre più redditizie le esportazioni dal Goggiam.

Mettendo in chiaro tutti i suoi appunti, scrisse un interessante volume Alla terra dei Galla (che fu però pubblicato dopo la sua morte). Desideroso di tornare in Africa, Gustavo si trovò pero di fronte a nuove difficoltà dovute principalmente alla diffidenza del governo a causa anche del recente eccidio della missione Giulietti. Nella primavera del 1882, però, il governo, avendo sistemato la questione di Assab, riesaminò la possibilità di inviare una nuova missione presso re Giovanni, mentre l'Antonelli già nell'agosto era partito per recarsi presso Menelik. Fu deciso quindi di inviare una missione politico-governativa, capeggiata da un funzionario del ministero degli Esteri (console G. Branchi), e una missione scientifico-commerciale privata con a capo Gustavo Bianchi.

Il compito affidato a Bianchi era duplice: creare una base commerciale a Baso nel Goggiam e aprire la strada Lasta-Assab, di notevole importanza per la valorizzazione di Assab come porto commerciale. La missione, partita il 27 genn. 1883 da Napoli e sbarcata il 10 febbraio a Massaua, fu ben presto in viaggio per l'interno e giunse a Debra Tabor il 25 maggio. Ben presto, però, si dimostrò quanto era infelice la coesistenza delle due missioni, prive anche di precise istruzioni sui rispettivi compiti, che causavano attriti tra il Bianchi e il Branchi.

Il Bianchi, nell'aprile del I884, stava per iniziare il viaggio verso la costa, ma molti mutamenti erano sopravvenuti nel campo dei rapporti tra l'Italia e l'Abissinia. Non erano mancate, al Bianchi, esortazioni a rinunciare al viaggio e lo stesso Antonelli gli aveva scritto da Aden di diffidare dei Dancali e molti altri avevano insistito perché non si avventurasse in un paese sconosciuto e ostile. A nulla valsero consigli e avvertimenti, forse anche perché il Bianchi era convinto che tutti volessero scoraggiarlo dall'impresa da cui si riprometteva onori e fama. La partenza da Seket avvenuta nel settembre, dopo un primo tentativo fallito per la defezione della scorta abissina (altro ammonimento a cui non volle dare importanza), ebbe il sapore di una sfida lanciata un po' a tutti con malcelata altezzosità. Si mosse con una scorta di otto Dancali, tra i quali una guida, Mandaitù, ( poi considerato, l'organizzatore dell'eccidio, ispirato dal sultano dell'Aussa, decisamente contrario all'apertura di un'altra strada, che avrebbe potuto far concorrenza a quella funzionante attraverso il suo territorio.

La prima vaga notizia dell'uccisione dei tre Italiani, avvenuta il 7 ottobre, pervenne all'Antonelli una decina di giorni dopo. Solo nel 1928, con la spedizione di M. L. Nesbitt, di cui facevano parte T. Pastori e G. Rosina, fu identificato esattamente il luogo del massacro, indubbiamente compiuto dai Dancali. I resti e alcuni oggetti personali degli sventurati esploratori furono, in parte, recuperati nel luglio del I886 da A. Gagliardi e imbarcati sul Gottardo, vennero inumati in Italia dove già il 16 marzo, a Ferrara, era stata inaugurata, con un discorso di Giovanm Bovio, una lapide a loro ricordo. Questo massacro richiamò una spedizione militare che si concluse con l'occupazione di Massaua.