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19/04/2024 22:41:48

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L'inguaribile tristezza del saggio

Una ricerca sulla cultura kazaka

AA.VV.


Editeur - Casa editrice

Marietti

Asia
Asia Centrale
Kazakistan


Città - Town - Ville

Bologna

Anno - Date de Parution

2006

Pagine - Pages

204

Lingua - language - langue

Italiano

Edizione - Collana

Saggistica

Curatore

Edoardo Canetta R. Seisenbaev

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L'inguaribile tristezza del saggio. Una ricerca sulla cultura kazaka

L'inguaribile tristezza del saggio L'inguaribile tristezza del saggio  

«Sono arrivato in Kazakistan 12 anni fa sapendo a mala pena che non era in Russia, anche se era stato parte dell'Unione Sovietica. Sono arrivato sapendo già un po' di russo (quello che si può imparare a Milano), tra gente che parlava questa lingua, anche se per metà venivano da decine di nazioni diverse (in Kazakistan ci sono 120 etnie), spesso per effetto delle deportazioni staliniane. Anche la metà rappresentata dai kazaki parlava e parla tutt'ora il russo.[..]
Questo libro parte dal sufismo per arrivare ad Abai Kunbai, che fu il più grande scrittore kazako, vissuto nell'Ottocento, presenta una panoramica di questa tradizione, e per me costituisce un debito di riconoscenza ad un popolo che mi ha accolto con affetto in questi anni e che desidera farsi conoscere dal mondo al di là degli stereotipi che lo presentano genericamente come "il popolo dei nomadi della steppa". Proprio il grande Abai, ma non solo lui, scriveva che se la cultura kazaka vuole conservarsi non può che aprirsi al dialogo con le altre culture.
La testimonianza di Ciocan Ualikanov e della sua straordinaria (e sconosciuta in occidente) amicizia con Dostoevskij, rappresentano l'ulteriore conferma di un popolo critico, innanzitutto con se stesso, e aperto al dialogo con tutti. L'inguaribile tristezza del saggio, citazione di Abai, è quella di chi ama la realtà, la vita in un modo appassionato e, inevitabilmente, soffre per averne sempre una conoscenza inadeguata. Auguro, paradossalmente, ai lettori di condividere con me e con gli amici kazaki un po' di questa provvidenziale tristezza, senza la quale l'uomo non è se stesso. Rakmet! (Grazie)».
Don Edoardo Canetta