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Cento giorni di prigionia nell'oasi di Cufra
Brezzi Giovanni

Editeur - Casa editrice

Nondadori

Africa del Nord
Sahara
Libia
Gilf el Kebir

Anno - Date de Parution

1931

Pagine - Pages

248

Lingua - language - langue

italiano


Cento giorni di prigionia nell'oasi di Cufra  

"La marcia che doveva portarci in salvo s'iniziò la sera del 4 marzo e si concluse nel pomeriggio del giorno 16. A parte il valore morale che essa aveva per noi, il suo interesse derivava dal fatto di essere il primo percorso effettuato da Europei su di un itinerario mai prima seguito".
(pagina 238).



BREZZI: OSTAGGIO NELL'OASI DI CUFRA

Tratto da "Orme parmigiane in Africa"


 Un incidente davvero particolare è quello occorso a Giovanni Brezzi (Cuneo 1896 – Padova 1953), che pur originario di Cuneo si era trasferito a Parma nel 1909 e si era laureato presso la locale Facoltà di Medicina. Fu inviato nel 1926 a Bengasi come capitano medico e ivi due anni dopo (data la sua specializzazione in malattie tropicali) fu prescelto per condurre una missione sanitaria richiesta da Mohàmmed Aàbed, senusso di Cufra, un’oasi nel deserto libico popolato da genti arabe e berbereliii.
La spedizione partì da Bengasi il 23 settembre 1928 e dopo aver fatto tappa a Agedabia, e poi ad Augila, pervenne il 27 all’oasi di Gialo (Wahat Jalu) dopo di che iniziava la vera e propria traversata del deserto libico. A quel punto, lasciati i 25 autocarri, si formò una carovana composta dai quattro della missioneliv con 75 cammelli per il trasporto del materialelv e 18 cammellieri; i due figli del Senusso con 15 uomini al loro seguito e 32 cammelli; un terzo gruppo di tre persone e 11 cammelli, aggregato a Gialo e diretto a Cufra per motivi commerciali.
In tutto si contavano 42 persone e 118 cammelli dei quali, dopo la partenza da Gialo il 1° ottobre, si persero completamente le tracce per alcuni mesi.


Così, ripensando a quell’esperienza, scriverà Brezzi: “C’è chi nasce con lo spirito avventuroso e cerca invano l’occasione di gettarsi allo sbaraglio, d’affrontare un rischio pittoresco, di gustare un’emozione violenta, di vivere un episodio drammatico. No, non gli capita mai nulla, e se ne cruccia, amareggiato e insoddisfatto. E c’è chi nasce con un temperamento pacifico, con un gran desiderio di passarsela quieto quieto, senza scosse, senza bufere, in un placido tran-tran di studio e di lavoro, (…) e rifugge dalle guasconate, evita le spavalderie, non va in traccia di turbolenze, si tien tranquillo, composto, dignitoso. Quello l’avventura lo va a cercare con una maligna preferenza, per squassarlo a dovere, per tirarlo giù dal suo comodo scanno e immergerlo sino al collo in un pelago tumultuante, in un mare di guai. E’ un po’ il caso mio”lvi.
Ma cosa poteva essergli accaduto per giustificare una simile affermazione?
Alle sette di mattina del 10 ottobre il convoglio fu accerchiato e sequestrato da duecento arabi armati, che sbucarono all’improvviso dalle dune. Il primo pensiero che ebbero fu quello di essere stati traditi e catturati dal Senusso di Cufra; mentre, in realtà, lo stesso capo Senusso era stato vittima di una rivolta della sua popolazione, che lo aveva costretto alla fuga, proclamando un nuovo governo dell’oasi. Tutto il materiale cadde nelle mani dei beduini e solo una piccola parte di vettovaglie poté venir salvato dagli ostaggi, anche a costo di trucchi quasi comici, come quando convinsero i loro rapitori che la marmellata era sangue di maiale e che la costa del formaggio parmigiano era fatta di pelle di porco.
Ma c’era poco da ridere, perché i nuovi padroni si erano convinti che la carovana trasportasse il compenso pagato dagli italiani per il tradimento del Senusso, che li avrebbe in questo modo venduti all’Italia.
I quattro della missione umanitaria furono più volte minacciati di morte, inscenando anche una finta esecuzione per impaurirli.
Non avendo però trovato quello che cercavano (i presunti soldi o altri beni preziosi inviati al Senusso) li portarono all’interno dell’Oasi di Cufra
(Wahat al Kufrah) dove rimasero per il momento internati, con la spada di Damocle dell’esecuzione capitale.
Dapprima i loro carcerieri pensarono di chiedere all’Italia uno scambio politico di prigionieri o un riscatto di quattro milioni di lirelvii per la loro liberazione; poi volendo realizzare un veloce guadagno, misero i quattro ostaggi all’asta nel locale mercato degli schiavi, ma la cosa non portò i frutti sperati perché la massima somma offerta, per la scarsità di denaro a disposizione, non superò le 25.000 lire.


nfine – grazie alla collusione con uno dei capi, al quale fu promesso un compenso segreto di 50.000 lire – il consiglio dell’oasi tornò all’idea del riscatto, abbassando però la cifra dai 4 milioni iniziali alla più realistica di 200.000 lire.
Dopo il pagamento da parte del Governo Italiano, la disavventura terminava con la celebrazione di un grande banchetto offerto ai capi nel corso della quale venivano appianati gli ultimi contrasti e annunciata la loro liberazione.
La partenza del quartetto avvenne il 2 marzo 1929 alla volta dell’Oasi egiziana di Siwa, compiendo una dura marcia attraverso lande ghiaiose (serir) e alte dune di sabbia (ramla), sferzati talvolta dalle raffiche del vento del deserto (ghibli).
Raggiunta Siwa, li attendeva un itinerario più agevole sino ad Alessandria d’Egitto e qui l’imbarco e il ritorno a Bengasi via mare.
A Giovanni Brezzi, come lui stesso scrive, fu concesso d’essere il primo ufficiale italiano destinato a por piede a Cufra e ad aggiungere un proprio libro alla bibliografia dell’oasi saharianalviii.


sotto: Giovanni Brezzi in Libia (dalla copertina del suo libro di memorie)


sotto: Itinerario di Giovanni Brezzi all'Oasi di Cufra dal libro edito da Mondadori nel 1930


 


Recensione in altra lingua (English):

In 1928 an Italian medical mission was invited to Kufra by the Senoussi. The small group led by Dr Giovanni Brezzi reached Kufra safely, but later were taken prisoner by the locals, only released after three month's negotiations. This very rare book is a first hand account of this little known trip and events.
In this interesting book the capitano medico Brezzi describes the oasis of Cufra and his period of captivity. The mention of the voyage of 600 Km directly walked along from Cufra to Siwa exposes a very interesting detail: the caravane included the two Italian prisoners, twenty more men, thirty camels and more or less thirty sheep. I did not know that such an itinerary could be covered by sheeps. The period around 1930 had had to have a climat not that much different from nowadays, and 600 Km are a remarkable distance. This sort of long distance episodic trade in this part of the Sahara is not so known.