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15/05/2024 06:52:14

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Avventure in Africa

Celati Gianni


Editeur - Casa editrice

Feltrinelli

Africa
Africa Occidentale
Mali


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2001

Pagine - Pages

184

Titolo originale

Aventure in Africa

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Universale Economica (originale del 1998 - I Narratori)


Avventure in Africa Avventure in Africa  

recensione di Genovese, R., L'Indice 1998, n. 4

Gianni Celati è uno scrittore la cui importanza, se posso sbilanciarmi con una profezia, è destinata ad aumentare man mano che la sua proposta di una "ecologia della letteratura" (così io la chiamo) sempre di più sia recepita come una delle poche capaci di misurarsi con l'"impasse" della narrativa contemporanea, con la sua estenuazione ormai evidente. Contro la riduzione dell'arte del narrare al romanzo "industriale" di derivazione naturalistica (bestie nere di Celati sono Zola e Moravia: si veda il suo saggio "Le posizioni narrative rispetto all'altro", in "Nuova Corrente", 1996, n. 117), contro la centralità dell'autore che tutto vuole controllare e spiegare mediante le scienze e il discorso ideologico, egli rilancia la narrazione orale, l'arte di serbare e trasmettere esperienza attraverso la voce, rivalutando la funzione simpatetica del lettore rispetto a quella ingombrante dell'autore imposta dal sistema della comunicazione letteraria. "I narratori - scrive Celati nel saggio citato, intendendo qui i narratori genuini - spuntano sempre, come i salici nei terreni dove c'è appena un po' d'acqua, mentre i lettori o gli ascoltatori con cui trovare una connivenza immaginativa sono sempre meno - decimati dalla tremenda scolarizzazione universale, dalla abominevole grettezza dei professori di letteratura, dalla sordità di tutti i libri pubblicizzati che diventano modelli normativi per gran parte dei lettori".
Per l'ecologo della letteratura è dunque necessaria una bonifica dell'intero sistema autore-lettore. E questo comporta, come spesso negli ecologi, anche una buona dose di fondamentalismo ascetico. Uno così non può che fare della "grazia" la sua "disciplina" (i termini sono usati dallo stesso Celati in un'intervista apparsa sull'"Indice" nel luglio 1991; e su tutta la questione si veda Carla Benedetti, "Celati e le poetiche della grazia", in "Rassegna europea di letteratura italiana", 1993, n. 1): perché la grazia, ossia la ricerca dell'involontario all'interno di ciò che è costruito con i mezzi volontari dell'arte, può essere conquistata solo attraverso un lavoro di purificazione. A uno così si addice il viaggio, meglio il vagabondaggio in quanto apertura all'imprevisto, indisciplinata disciplina verso una perdita del controllo. E a Celati doveva pur capitare di andare in Africa, continente in cui il livello di scolarizzazione fortunatamente è basso e i professori di letteratura non si trovano a ogni angolo della savana.
Dico l'Africa ma avrei potuto dire la Patagonia o l'India (dove in effetti si è recato l'amico e sodale di Celati, Cavazzoni), insomma ovunque sia ancora non del tutto impossibile battere le piste della "semplicità", diverse da quelle troppo facili del turismo organizzato. Viaggiare è una pratica ascetica per l'ecologo della letteratura. Il titolo "Avventure in Africa "non deve trarre in inganno: niente Hemingway, niente caccia grossa, niente imprese erotiche; anzi Celati e il suo compagno di viaggio sembrano mangiare anche poco e di certo non bevono alcolici. In primo piano - ed è secondo me l'aspetto più interessante del libro - c'è lo sforzo che costa sottrarsi, anche solo di un soffio, alla vita da fantasma assegnata al turista; tentare di sfuggire al destino di chi è costretto a guardare tutto come attraverso un vetro. Ciò che disturba in Chatwin (almeno nel suo "In Patagonia", l'unico suo libro che abbia letto) è il suo procedere come se niente fosse: scarponi in spalla, e via verso la scoperta, il viaggio non contaminato. Che a questo viaggiatore sia toccato morire di Aids - cioè di una malattia che si può beccare dappertutto - e non, per dire, di febbre gialla, è un caratteristico contrappasso per chi credeva di poter sfuggire al destino omologante della globalizzazione facendo semplicemente come se non ci fosse. Celati invece non affetta nessuno sguardo ingenuo: cerca proprio una nuova ingenuità nel guardare le cose, e prende perciò le mosse dall'amara condizione del turista.
L'ascesi non è solo una virtù letteraria; in certi casi è una scelta quasi obbligata. Prendiamo l'eros. Se una nera sirena viene a sussurrare ogni notte davanti alla porta della camera d'albergo, come si potrebbe cedere alla seduzione senza diventare dei turisti sessuali? È una scena esilarante quella in cui il compagno di viaggio si mette la cera nelle orecchie per non sentire il richiamo della sirena, mentre Celati va ad aprire la porta per scacciarla ma lei non c'è già più, c'è soltanto il suo effluvio nel corridoio... E dire che Celati sarebbe contrario all'autocontrollo tipico dell'uomo bianco, nessuno più di lui sarebbe disposto a vivere "nell'indistinto presente dei momenti qualsiasi"! Ma a Dakar l'incontro con un autentico turista sessuale - rotondo commerciante attorniato dalle sue bambine prostitute, che gira il mondo e, manco a dirlo, è di Modena - dà il senso preciso della Malinconia ("io uso sempre il preservativo, ma sa! Ho 59 anni, me ne restano forse dieci, finché ho tempo io vado avanti"), o di quella miseria in cui anche un asceta potrebbe sprofondare se perdesse la sua sorveglianza antituristica. Il fatto è che la grande offerta sessuale ha reso ormai pressoché impossibile l'avventura erotica di viaggio, già da sempre complicata. Così anche Batouly, simpatica e cicciotta, che non è affatto una prostituta, e a Celati piace, gli appare tuttavia con un corpo "a pezzi staccati", imprendibile. Mi sono domandato - come Celati non vorrebbe mai che si facesse - cosa diavolo significhi questa mancanza di unità nel corpo di Batouly. E mi sono dato la risposta che essa allude alla condizione di sradicamento, di caos, d'ibridazione culturale inconsapevole, non voluta ma subita, in cui vivono gli africani e le africane oggi.
Già, l'ibridazione culturale: ecco un concetto, una di quelle cose da cui Celati fugge. Lui non sopporta la sociologia, l'etnologia, la psichiatria... Anzi, il suo viaggio prende la giusta piega solo dopo che sia venuto meno l'originario pretesto pseudoscientifico: quello di realizzare un documentario sui guaritori africani e sul Centro di medicina tradizionale messo su nel Mali dall'etnopsichiatra Piero Coppo. Per un malinteso, forse, i due amici vengono sbattuti fuori dalla casa di Coppo: e a questo punto l'estro picaresco di Celati comincia a prendere forma. Lui e il suo compagno sono Ridolfi e Cevenini: il primo è un mattocchio che dà spesso in escandescenze, il secondo lo accompagna in Africa da un certo professor Paponio (Piero Coppo) che cura la follia con i metodi magici dei guaritori africani... Le vicende di questi due stralunati personaggi tipicamente celatiani faranno d'ora in avanti da contrappunto al viaggio reale: Celati comincia a scrivere un racconto di cui ci dà solo qualche assaggio, ma che possiamo aspettarci di vedere prossimamente pubblicato.
Ricerca della grazia, ricerca dell'ispirazione - sono le vere avventure di questo libro africano. L'Africa resta uno sfondo. Il viaggio ci parla dello sforzo che costa raggiungere una condizione di non sforzo; la sua linfa è il paradosso. Sulle insegne letterarie di Celati sta scritto: descrivere si può (e ci sono nel libro folgoranti descrizioni, come ad esempio quella dei termitai nella savana); narrare si deve (è il principio stesso dell'ecologia della letteratura); quello che proprio non si deve fare è riflettere, cercare spiegazioni. L'Africa è e deve restare un enigma. Ciò che può dare è qualcosa che si trova in fondo da qualsiasi altra parte solo che si sappia guardare: magari anche sul Po, cui Celati ha dedicato un altro libro di viaggio, "Verso la foce". Perché per Celati-Ridolfi, che si dichiara spinoziano, "l'assoluto sta nel niente di speciale, che è l'assolutamente necessitato".

 

Consulta anche: Leggi la recensione su "Il café letterario"

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