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Bon Religion of Tibet

The Iconography of a Living Tradition

Kvrærne Per


Editeur - Casa editrice

Shambhala - Serindia

  Religione
Tibet
Bon
Vajrayana

Anno - Date de Parution

1995

Pagine - Pages

160

Titolo originale

The Bon Religion of Tibet : The Iconography of a Living Tradition

Lingua originale

Lingua - language - langue

eng

Ristampa - Réédition - Reprint

2001

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The Bon Religion of Tibet : The Iconography of a Living Tradition

Bon Religion of Tibet  

Recensione di Rossi, Donatella (1999) "Recensione del libro 'Te Bon Religion of Tibet: Te Iconography of a Living Tradition' di Per Kværne,"
Himalaya, la rivista dell'Associazione per il Nepal e gli Studi Himalayani: Vol. 19: N. 1, Articolo 10

La religione Bon è oggetto di studi accademici occidentali da circa un secolo. Tuttavia, questa ricerca accademica ha iniziato a diventare più promettente solo pochi anni fa, quando il materiale testuale sulla religione Bon è finalmente diventato disponibile in Occidente attraverso la ristampa del Canone Bonpo e dei suoi testi complementari, la cui ristampa più recente ammonta a oltre 500 volumi. "The Bon Religion of Tibet" di Per Kværne rappresenta una gradita aggiunta a questo corpus di ricerche.
All'inizio, il fenomeno religioso Bon era circondato da molti pregiudizi. Parte di questa tendenza fu determinata dall'interesse degli studiosi per il buddhismo tibetano "tradizionale" e, di conseguenza, dall'accettazione delle posizioni dottrinali polemiche dell'ortodossia religiosa tibetana. Solo alla fine degli anni '60 iniziò ad apparire un quadro più coerente di ciò che il Bon rappresentava realmente. Questo grazie all'impegno del Prof. David L. Snellgrove, che lavorò a stretto contatto con uno dei più illustri rappresentanti della religione Bon, Lopon Tenzin Namdak, e pubblicò "Le Nove Vie del Bon". Estratti dal gZi brjid a cura e traduzione (London Oriental Series, Vol. 18, Londra: Oxford University Press, 1967).
I Bonpo, seguaci della religione Bon, sostengono che la loro religione abbia tratti universali e la definiscono come Bon Eterno o Perpetuo (g.yung drung bon). Il fondatore di questo Bon Eterno è il Maestro gShen-rab Mi-bo-che, che apparve al cospetto del Buddha storico, visse e diffuse i suoi insegnamenti da una terra a ovest del Tibet chiamata sTag gzig. Ciò che possiamo osservare oggi della religione Bon è una tradizione che si organizzò a partire dal X o X secolo, in seguito alla caduta dell'impero tibetano. Questa tradizione religiosa non riconosce un'origine indiana delle sue dottrine e pratiche. È ancora oggi praticata in Tibet e nelle aree abitate tibetane dell'India e del Nepal. Sebbene il Bon possa apparire piuttosto simile al Buddhismo per alcuni aspetti, in realtà presenta nette differenze, in particolare in termini di "autorità religiosa, legittimazione e storia", come mostra chiaramente Per Kvrærne nella sua deliziosa opera. L'iconografia della religione Bon è stata finora un argomento praticamente inesplorato. Il professor Per Kvrærne dell'Università di Oslo è uno specialista della religione Bon. Questa sua recente opera è il primo tentativo di descrivere l'iconografia Bonpo in modo sistematico. Presenta una selezione di dipinti e statue, per lo più provenienti dal Tibet, raffiguranti importanti divinità e figure spirituali. Non solo li descrive in termini di forma e contenuto, ma anche attraverso estratti tradotti, inclusi quelli mitologici, che offrono al lettore descrizioni e rappresentazioni vivide. L'Introduzione è una discussione all'avanguardia di tutte le principali questioni relative alla religione Bon. I capitoli successivi trattano di Divinità Pacifiche, Divinità Tutelari, Protettori e Divinità Locali, Sāddha, Lama e Dakini e Thangka Narrativi (capitoli da uno a cinque). Il capitolo finale analizza la versione Bonpo della "Ruota dell'Esistenza" – il cerchio della trasmigrazione degli esseri senzienti – che mostra, come osserva giustamente Per Kvācerne, come il Bon "assimila elementi presenti nella cultura tibetana nel suo complesso, pur mantenendo un considerevole grado di libertà nell'utilizzare tali elementi secondo i propri concetti religiosi" (p. 143). L'opera di PerKåværæ è un elegante e approfondito studio della religione Bon da una prospettiva iconografica.
È estremamente accessibile anche a lettori non specializzati e, solo per questo motivo, rappresenta un contributo molto importante alla nostra comprensione della religione Bon, una componente innegabile e profonda del patrimonio culturale tibetano.
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Il Bon si vanta di essere la religione originale e autentica del popolo tibetano e di essere saldamente radicato nella Terra delle Nevi molto prima dell'introduzione del Buddhismo nel VII secolo d.C.
Negli ultimi anni si è registrato un crescente interesse per questa enigmatica religione, eppure la sua arte sacra è rimasta finora praticamente inesplorata. Pur essendo chiaramente conforme alle convenzioni stilistiche generali dell'arte buddhista tibetana, questo studio pionieristico svela un intero e unico pantheon di divinità, che introduce le principali caratteristiche e dottrine del Bon, nonché la sua vita monastica e le sue pratiche meditative e rituali. L'iconografia del Bon è presentata attraverso una serie di thangka, miniature e bronzi provenienti da collezioni pubbliche e private, nonché da comunità tibetane e in esilio. Salvo poche eccezioni, sono finora inediti e risalgono alla fine del XIV secolo e alla metà del XX. Le divinità pacifiche, tutelari, protettrici e locali, così come il Bon si

 


Recensione in altra lingua (English):

Recensione di Rossi, Donatella (1999) "Book review of 'Te Bon Religion of Tibet: Te Iconography of a Living Tradition' by Per Kværne,"
Himalaya, the Journal of the Association for Nepal and Himalayan Studies: Vol. 19: No. 1, Article 10

The Bon religion has been the object of Western scholarly studies for about one century now. However, this scholarly research started to become more promising only a few years ago when textual material on the Bon religiun finally became available in the West through the reprint of the Bonpo Canon and its ancillary texts, with the most recent reprint amounting to more than 500 volumes. Per Kvrerne's The Bon Religion of Tibet marks a welcome addition to this body of research.
At the beginning much bias surrounded the religious phenomenon of Bon. Part of this bias was determined by the interest of scholars in 'mainstream' Tibetan Buddhism and consequently by the acceptance of the doctrinal polemical stands of Tibetan religious orthodoxy. It was not until the late 1960's that a more coherent picture of what Bon was really about started to appear. This was thanks to the efforts of Prof. David L. Snellgrove, who worked in close contact with one of the most knowledgeable representatives of the Bon religion, Lopon Tenzin Namdak, and published The Nine Ways of Bon.
Excerpts from the gZi brjid edited and translated (London Oriental Series, Vol. 18, London: Oxford University Press, 1967).
The Bonpos, followers of the Bon religion, maintain that their religion has universal traits and define it as the Eternal or Everlasting Bon (g.yung drung bon). The founder of this Everlasting Bon is the Teacher gShen-rab Mi-bo-che, who appeared before the historical Buddha, lived and spread his teachings from a land to the West of Tibet called sTag gzig. What we can observe of the Bon religion today is a tradition that came to be organized as of the lOth or lith century following the demise of the Tibetan empire. This religious tradition does not acknowledge an Indian origin of its doctrines and practices. It is still followed today in Tibet and in Tibetan inhabited areas of India and Nepal. Although Bon may appear quite similar
to Buddhism in some respects, there are in fact definite differences, particularly in terms of "religious authority, legitimation and history" as Per Kvrerne clearly shows in his delightful work.
The iconography of the Bon religion has hitherto been a virtually unexplored subject. Professor Per K vrerne of the Univerity of Oslo is a specialist of the Bon religion. This recent work of his is the first attempt to describe Bonpo iconography in a systematic way. He presents a selection of paintings and statues, mostly from Tibet, of major deities and spiritual figures. He not only describes them in terms of
form and content but also through translated excerpts, including mythological ones, which provide the reader with vivid descriptions and representations. The Introduction is a state-of-the-art discussion of all the major issues related to the Bon religion. The subsequent chapters deal with Peaceful Deities, Tutelary
Deities, Protectors and Local Deities, S\ddhas, Lamas and Dakinis and Narrative Thangkas (chapters One through Five). The final chapter discusses the Bonpo version of the 'Wheel of Existence' - the circle of transmigration of sentient beings - which shows, as Per Kvcerne rightly observes, how Bon "assimilates elements which are present in Tibetan culture as a whole, while retaining a considerable degree of freedom in utilising these elements according to its own religious concepts" (p. 143). PerK vcerne's work is an elegant, scholarly study of the Bon religion from an iconographic perspective.
It is extremely accessible to non-specialized readers, and for this reason alone, it represents a very important contribution to our understanding of the Bon religion, an undeniable and profound component of the Tibetan cultural heritage.
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Bon claims to be the original and authentic religion of the Tibetan people, and to have been firmly established in the Land of Snows long before Buddhism was introduced in the seventh century A.D.
In recent years there has been an increasing interest in this enigmatic religion and yet its sacred art has until now remained virtually unexplored. Although clearly conforming to the general stylistic conventions of Tibetan Buddhist art, an entire and unique pantheon of deities is revealed by this pioneering study which introduces the main characteristics and doctrines of Bon, as well as its monastic life and its meditational and ritual practices.
The iconography of Bon is presented through a series of thangkas, miniatures and bronzes from public and private collections as well as communities within Tibet and in exile. With a few exceptions they are hitherto unpublished and date from the late 14th to mid-20th centuries. The peaceful, tutelary, protector and local deities as well as the Bon siddhas, lamas and dakinis are identified and fully described by means of excerpts from ritual or biographical texts which are translated here for the first time.



Recensione in lingua italiana

Bön
di Marco Vasta
Quando Milarepa, il santo poeta vestito di cotone, giunse alle pendici del Tise, venne gioiosamente accolto dalle divinità locali ma altrettanto ospitale non si mostrò Naro Bön Cho, potente sacerdote che incontrando Mila sulle rive del lago Manasarowar proclamò con sussiego: «Accetta la superiorità della nostra religione ed unisciti a noi!».
Milarepa replicò garbatamente «Buddha stesso ha profetizzato che il Kan Rimpoché cadrà sotto l'influenza dei seguaci del Dharma» e inoltre Marpa, il potente mago, non gli aveva a lungo descritto la santità monte? «Il ricordo del mio maestro mi lega alla montagna, sii tu a convertirti!» tagliò corto Milarepa. Naro declinò a sua volta l'invito e propose di risolvere il tutto con un duello di magia.
Naro Bön Cho repentinamente si mise a cavalcioni sul lago, ponendo un piede sulla riva opposta e cantando un inno ai propri straordinari poteri. Milarepa rispose coprendo il lago con il proprio corpo «senza allargarlo» e canticchiando una contro canzone. Infine, per meglio chiarire i propri poteri a tutti i presenti, mise l'intero lago sulla punta di un dita senza nuocere a nessuno degli esseri che vivevano nelle acque.
Naro, perplesso e stupefatto, ammise una momentanea inferiorità ma volle un'altra prova e si diresse verso la montagna assieme ai suoi discepoli, iniziando a camminarvi attorno in senso antiorario. Milarepa fece lo stesso ma nell'altro senso ed alla fine si incontrarono presso una grande roccia e cominciarono a spintonarsi. Ovviamente, ma questa è la versione buddhista, vinse Milarepa che costrinse il gruppetto di Bön po a proseguire assieme a lui. Allora Naro suggerì una prova di forza e sollevò un macigno grande come uno yak. Milarepa sollevò sia il macigno che Naro e poi si sedette a riposare nella «Caverna del loto». Poi allungò una gamba e con il piede bloccò l'entrata della caverna, posta dove sul pendio opposto della valle, dove si era assiso Naro. Dalle cime e dalle rocce dei ed esseri non umani risero fragorosamente. Umiliato ed in imbarazzo riprese a camminare attorno alla montagna secondo la sua pratica e rincontrò Milarepa, questa volta a sud del Kailash proprio mentre iniziava a piovere. «Ci servirebbe un rifugio - affermò Mila - preferisci costruire le fondamenta o sistemare il tetto?». Naro scelse il tetto. Poco sportivo, Milarepa ricorse ai suoi poteri e rese così pesante la pietra destinata alla copertura che Naro non riuscì a sollevarla. Milarepa intervenne alzandola, rigirandola, soppesandola e lasciando ogni volta l'impronta delle mani sulla roccia e il rifugio così allestito divenne la «Caverna del lavoro miracoloso». Naro, sebbene umiliato, sostenne giustamente che questa non era una prova concordata e non si diede per vinto. Si ricorse così ad un'ultima sfida. Il Kailash sarebbe stato posseduto da chi avesse raggiunto la vetta nel quindicesimo giorno del mese.
Naro immediatamente iniziò ad esercitarsi dedicandosi assiduamente alle pratiche Bön. Ai primi albori del mattino stabilito i discepoli di Milarepa videro Naro iniziare un volo nello spazio a cavallo di un tamburo. Indossava una veste verde e suonava uno strumento musicale. Il loro maestro non si era ancora svegliato e i discepoli erano veramente preoccupati. La loro ansietà era aumentò quando Milarepa, informato degli eventi, mostrò poco interesse e non si mosse.
Ma i discepoli non ebbero da temere poiché proprio all'ultimo momento Milarepa fermò il suo avversario con un semplice gesto. Quando il giorno tinse di rosa il cielo egli schioccò le dita, indossò la tunica e volò verso la cima. il primo raggio di sole illuminò Milarepa trionfante mentre atterrava in cima al Kailash. Sorpreso, Naro Bön Cho perse il controllo e precipitò lungo i fianchi del monte seguito da tamburo che rotolava di cengia in cengia.

Il leggendario confronto fra il santo cantautore ed il mago Bön Cho indica che sicuramente le due fedi ebbero modo di scontrarsi per il controllo religioso del Tibet ed in questa leggenda rintracciamo molti elementi per comprendere, attraverso le nebbie del tempo, le lontane origini del Bön.
Il monte Kailash è sacro alle religioni Hinduista, Buddhista, Jainica e Bön. Rappresentazione concreta del mitico monte Meru, è l'axis mundi per milioni di asiatici. I Bön lo chiamano Tise e lo considerano l'anima dello Shang Shung, il Tibet occidentale. Esso torreggia sopra le sfere celesti come un parasole con otto anelli e sopra la terra come un loto ad otto petali. E' la residenza di 360 Gi Kod, una classe di dei specifica del Kailash e chiaramente associata al ciclo dell'anno solare. Abbiamo quindi la possibilità di identificare la regione dove nacque questa religione ed anche supporre quali fossero le divinità originarie. Ma il Tise è anche la corda che collega terra e cielo lungo la quale il corpo di emanazione di Shen Rab, fondatore del bön modificato, scese sulla terra.
I primi re tibetani erano uniti al cielo, da cui scendevano, mediante una corda che partiva dalla loro testa ed compito dei sacerdoti Bön era quello di proteggere i re e quindi l'intero popolo. Religione quindi istituzionale che aveva assimilato anche elementi sciamanici, volare su un tamburo era infatti una prerogativa di maghi, esorcisti e sciamani nelle credenze popolari. La cosmogonia Bön ci offre anche altri miti, non presenti nella leggenda di Mila vestito di cotone e di Naro, che si rifanno allo scontro bene e male, dio buono contro dio malvagio ed in questo autorevoli studiosi hanno individuato elementi iranici. Questa a grandi linee potrebbe essere stata la religione Bön agli inizi della nostra era prima che Atisha e Padma Sàmbhava, il nato da loto, introducessero sul tavoliere tibetano quella versione del Buddhismo tantrico che noi conosciamo come Vajarayana, la via di diamante, più comunemente Lamaismo.
Se il Buddhismo voleva prevalere nel Tibet doveva assumere il controllo di questa montagna così simbolica sottraendola ai Bön po. Ed alla fine ci riuscì appropriandosi delle forme di culto e della fitta schiera di genii loci delle montagne che, secondo la tradizione canonica, Padma Sàmbhava sconfisse e trasformò da nemici in protettori del Buddhismo.
Non che i Bön si arrendessero facilmente se è vero che essi spinsero il re Langdarma a cacciare i lama dal Tibet. Ma Langdarma venne ucciso e pian piano il Vajrayana si diffuse definitivamente su tutto l'altopiano. Ma il Bön non scomparve: così come gli dei delle montagne si erano adattati e sottomessi alla predicazione di Padma Sàmbhava così il Bön si mimetizzò trasformando iconografia delle divinità, testi canonici e liturgie dalle forme originarie in copie della religione lamaista. Artefice di questa grande opera di plagio fu Shen Rab Mi Bö, mitico o realmente esistito, che è raffigurato esattamente come Padma Sàmbhava.
Il Bön con il passare dei secoli si è talmente modellato sul Vajrayana da rendersi quasi indistinguibile. Bön e Lamaismo si sono compenetrati specialmodo nelle correnti più esoteriche come i Nyima Pa, la più antica delle sette, e il Bön ha mantenuto radici in tutta l'area tibetana assumendo talvolta diversità regionali. Ma per gli uomini delle montagne le distinzioni filosofiche e teologiche sono prive di significato e le due religioni sono in fondo espressione della stessa fede. Camminare attorno ad un chorten od attorno al Kailash in un senso o nell'altro non ha, alla fine, nessuna importanza poiché Dio, sosteneva un saggio lama, non siede isolato in vetta alle montagne ma è ovunque sia l'uomo.