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Lontano dal Tibet

Storie da una nazione in esilio

Buldrini Carlo


Editeur - Casa editrice

Lindau

  Asia
Tibet
Diaspora


Città - Town - Ville

Torino

Anno - Date de Parution

2006

Pagine - Pages

262

Titolo originale

A Long Way from Tibet

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

I Draghi

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A Long Way from Tibet

Lontano dal Tibet Lontano dal Tibet  

La nazione tibetana non ha più una patria indipendente da cinquant'anni, cioè da quando i cinesi hanno fatto del Tibet una loro provincia. L'occupazione delle truppe di Pechino, dura fino alla crudeltà, ha costretto un gran numero di tibetani all'esilio, per lo più in India, al seguito del Dalai Lama. Ma cosa succede oggi in Tibet, e come vivono gli esiliati? Cosa resta del Paese delle Nevi e dove è finita la sua cultura? Questo libro rappresenta un viaggio sospeso tra passato e futuro, tra paura e speranza.

«Il successo di Buldrini come scrittore e come simpatizzante della causa tibetana è provato dal fatto che, dopo aver letto questo libro, viene anche a noi voglia di alzare il pugno e gridare: “Bod rangzen” - Tibet libero.»

Harish Dhillon, «The Sunday Tribune»


«Le mura esterne di pietra possono crollare.
Le mura interne del Dharma non possono essere distrutte»


Prologo

Lhasa, Tibet, Cina
Un furgone percorre a passo d’uomo Beijing Donglu, via Pechino Est, il tratto orientale della strada che attraversa tutta la città.
Legata attorno al furgone c’è una larga fascia di stoffa rossa, con dei caratteri cinesi dipinti a mano.
Fuori dal finestrino di guida sventola una bandiera rossa a cinque stelle.
Da un altoparlante escono, frusciando, le note di una marcia militare. Si alternano alla voce stridula di una donna che grida: «Il lancio di ordigni esplosivi, le violenze, i sabotaggi, i furti, saranno puniti severamente».
Severamente vuol dire qui con la pena di morte.
Dietro al furgone avanza lentamente un camion militare Dong Feng. È color verde oliva e ha il muso schiacciato, come quello di un bulldog.
In piedi, sul camion, ci sono sei tibetani in catene. Li sorvegliano alcuni uomini della People’s Armed Police, la Polizia del Popolo Armata.
I poliziotti, giovanissimi, hanno i lineamenti tesi e imbracciano i fucili mitragliatori.
Il Comitato del Partito Comunista dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Lhasa ha lanciato in questi giorni una campagna contro il crimine.
La campagna è chiamata «Colpisci duro».
Il capo della polizia di Lhasa, Luobu Dunzhu (Norbu Dhondup), in un articolo pubblicato sul «Xizang Ribao» («Quotidiano del Tibet»), ha scritto che il «giro di vite ha per obiettivo il mantenimento della stabilità politica e della pace sociale». Norbu ha detto che «atti di sabotaggio si verificano ormai non solo nelle città ma anche nelle campagne. Le attività dei gruppi separatisti si stanno intensificando».

La maggior parte dei negozi di Beijing Donglu è in mano ai cinesi.
Manichini impettiti, con i capelli biondi e lo sguardo di plastica, indossano giacche da uomo Shingbaolu. C’è un negozio di scarpe marca Ya Shi Nan. Nel negozio successivo sono in vendita borsette, gilet da donna e minigonne. Tutto in cuoio nero. Le commesse portano ai piedi zatteroni alti quindici centimetri.
C’è un negozio di cosmetici. Vende anche reggiseni. Le commesse hanno i capelli ramati.
C’è un negozio di divise militari. Due cinesi stanno caricando in un ricsciò parcheggiato sul marciapiede, una trentina di cappelli con la stella rossa sopra la visiera.
C’è un negozio di articoli kitsch. Vende piccoli mulini a vento chiusi sotto delle campane di vetro. Nella vetrina sono esposti anche orologi a pendolo di plastica, a forma di animale. Una civetta nera con la coda che oscilla e gli occhi che si muovono. Cani. Gatti. Un coniglio con una carota che gli dondola sotto il naso.
C’è un porno-shop. Bambole gonfiabili con i capezzoli rossi. Preservativi borchiati. Mutandine da donna rosse e nere sono appese alla parete su un cartoncino bianco cellofanato. Sembrano piccoli aquiloni. I clienti del negozio sono una coppia di giovani cinesi. Lei è china a guardare i preservativi esposti in una vetrina sotto il bancone.

Il furgone con la fascia rossa e il camion militare hanno ormai percorso buona parte di Beijing Donglu.
I negozi cinesi lasciano adesso il posto a piccoli ristoranti tibetani.
Nella minuscola vetrina di una bettola c’è una ciotola d’alluminio piena di momo cotti al vapore. Si intravede anche un vasetto con dentro dei semi di zucca abbrustoliti.
Sul marciapiede, un vecchio tibetano vende dei poster colorati. In alcuni è raffigurato il Potala, l’ex residenza del Dalai Lama. In altri, degli chalet alpini, con delle mucche pezzate in primo piano.
Il furgone con la fascia rossa e l’altoparlante arriva all’altezza del marciapiede dove il vecchio vende i suoi poster colorati.
All’improvviso, da una strada laterale, sbuca un giovane tibetano. Ha i capelli lunghi, raccolti a crocchia dietro alla nuca.
Il giovane alza il pugno destro contro il cielo. Grida: «Tibet indipendente», «Viva Sua Santità il Dalai Lama», «Cinesi, fuori dal Tibet».
Il furgone sembra non accorgersi di nulla. Prosegue la sua corsa.
Il camion militare invece si ferma. Qualcuno si sporge dal finestrino. Si guarda attorno.
Anche i passanti, tutti tibetani in questa zona della città, si fermano. Restano immobili, senza fiatare. Guardano gli uomini della People’s Armed Police con i fucili mitragliatori spianati.
Ma del giovane tibetano si sono perse le tracce.
Ancora pochi istanti e il camion Dong Feng color verde oliva si mette di nuovo in movimento. Accelera, per potersi ricongiungere al furgone infiocchettato che lo ha distanziato di quasi quaranta metri.

 

Consulta anche: Recensione du "Quadrante europa" a cura di Claudia Gianvenuti

Recensione in altra lingua (English):

This definitive account provides an intriguing glimpse into the Tibetan community that settled into exile in Mcleod Ganj, India. As much a study of the country and its culture as an investigatioon of displaced citizenry, the narrative exposes historical and political developments as well as the intricacies of religion and spirituality. Written in a journalistic style but with lyrical, descriptive passages, it chronicles the investigation of the sinister Dorje Shugden cult, which resulted in murder and threats on the life of HH Dalai Lama, his subsequent ban on the cult, the flight of the Karmapa Lama, and the controversy of the alternative claimants to the title. Interviews, diary entries, and case studies explain what became of the two Panchen Lamas and shed light on the mysteries of Tibetan medicine and a culture that is alive in the hearts of its people.

The rage of the lamas - recensione di Harish Dhillon, The Sunday Tribune (India), 21 agosto 2005

A Long Way from Tibet
by Carlo Buldrini. Tara India Research Press, New Delhi. Pages 244. £ 8.95


THIS book tells us about Tibetans living in exile in India and provides us with a glimpse of the historical-political developments in Tibet and the intricacies of its religion and spirituality.
Buldrini, who spent 30 years in India as a journalist, begins his book with the daily reports of the Revolt in Lhasa in 1959, based on contemporary texts and eyewitness accounts. The reports are as graphic and crisp as the wire copy can be. He cuts to 1994 and reports the 40th anniversary celebrations of the revolt.
We see much that has changed in the attitudes and beliefs of the Tibetans and much that has remained the same: the fire to free their country from the Chinese and the resolve to protect their cultural heritage at all cost.
Buldrini walks the Linghar, the sacred way that circles Lhasa, the Tibetan equivalent of parikrama. He intersperses his own experiences with the experience of F. Spencer Chapman, who walked the Linghar in 1936. In this fascinating juxtaposition of the past and the present, the unswerving faith of the pilgrims shines gloriously.
The author details the controversy regarding the selection of the XIth Panchen Lama, which gives us an understanding of the importance of the second spiritual authority of Tibet. On the death of the Dalai Lama, it is the Panchen Lama who identifies the next reincarnation.
We get an exciting description of the clandestine escape of the XVIIth Kamrapa from Tibet and the Chinese control. We also get a peep into the violence that can erupt when there is hostility amongst Tibetan Buddhist sects: six followers of the Dorji Shugden sect came in the dead of night and murdered the Director of the Institute of Buddhist Dialectics and two other monks.
The highlights of the book are the interviews with Lobsang Dolma, XIIIth chief physician of the Khanghar hospital, who explains the principles of Tibetan medicine, and the Dalai Lama, who speaks on a variety of subjects. He speaks about his concern over the forcible settlement of the Chinese in Tibet: there are now 2.5 million Chinese in Tibet and only 7,00,000 Tibetans, posing a grave threat to the very survival of Tibetan language and culture.
He speaks about the growing opposition of the young Tibetans to his policy of non-violence; about the contradictions in Western materialism; about the link between spirituality and ecology; about the reasons for his winning the Nobel Peace Prize. When asked how he would like to be remembered, he replies: "As a human being who often smiled."
The writer gives life to what is essentially a documentary account by using a simple narrative style and bringing a wealth of vignettes and images to his story. The book concludes with the image of the funeral of Thupten Ngodup, who immolated himself during the 1998 protest against Chinese occupation and the world’s continuing indifference to this.
We join the thousands of mourners in Mcleodganj and, it is a measure of Buldrini’s success both as a writer and a sympathiser of the Tibetan cause that when the mourners cry "Bod Rangzen" (Free Tibet), we too want to raise our clenched fists and shout with them.



Recensione in lingua italiana

Tibet - Carlo Buldrini racconta le storie di una nazione in esilio
20-03-2006

Claudia Gianvenuti

Finalmente un libro che parla apertamente dell’invasione militare del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese e della brutale occupazione che si è instaurata nel 1950, e che tuttora costringe i tibetani alla fuga e all’esilio in India. Lontano dal Tibet, storie da una nazione in esilio, di Carlo Buldrini, è una cronaca partecipe e appassionante. Il libro, pubblicato recentemente in Italia dalla Lindau Edizioni, ripercorre le vicende del “popolo delle nevi” a partire dall’invasione militare che ha smembrato in più pezzi e stravolto il paesaggio umano e fisico del loro Paese, cercando di cancellarne l’identità millenaria e di trasformarlo in provincia cinese. Le testimonianze, raccolte direttamente per anni, dei tibetani nei campi profughi, del XIV Dalai Lama, costruiscono un racconto a più voci sulla cultura violata del paese che è stato loro scippato da oltre mezzo secolo. Ci fanno desiderare di essere accanto a questo coraggioso piccolo-grande popolo che vive e lotta pacificamente per ottenere giustizia.

Fin dalle prime pagine di Lontano dal Tibet, apparso in India nel 2005 con il titolo A long way from Tibet e subito entrato nella lista dei best seller indiani, il lettore si ritrova a camminare in Temple Road, nelle strade di Mc Leod Ganj a Dharamsala, “la piccola Lhasa indiana”, a commuoversi insieme ai profughi tibetani e a simpatizzare per la loro causa con tutto il cuore. La “madre” India, che nulla respinge e tutto accoglie, ha dato asilo non solo ai tibetani ma anche alla loro religione: il buddismo, lo stesso buddismo nato in India 2500 anni fa, è ritornato oggi a vivere nella sua patria nativa, nei numerosi monasteri ricostruiti dai tibetani nel sud dell’India. In questo eterno ciclo della vita, dove passato e presente si fondono dando vita a un presente carico di paradossi, troviamo il potere della grande India di far vivere l’eternità nel divenire delle cose presenti.

É un profondo conoscitore dell’India, Buldrini, che ha vissuto trent’anni a Delhi come addetto all’Istituto di cultura italiano. É anche un reporter attento, e sulle molteplici realtà che rendono l’India un paese di fascino così complesso ha pubblicato nel 1999 In India e dintorni, una raccolta di suoi articoli edito da Piemme.

Altre buone ragioni per leggere Lontano dal Tibet

Il libro di Buldrini riesce ad affrontare con grande chiarezza questioni spinose del passato ma ancora aperte, con contrasti che persistono in seno alla comunità buddhista tibetana. Nel parlare del buddismo himalayano e del ruolo delle figure più importanti – oltre il Dalai Lama – che sono il Karmapa e il Panchen Lama, l’autore ripercorre le circostanze inquietanti e i sospetti sollevati da alcuni episodi come la morte del X Panchen Lama e, in particolare, il misterioso rapimento dell’ XI Panchen Lama e della sua famiglia. Prescelto nel gennaio 1995 dal Dalai Lama e dai Lama esperti in questa pratica, il XI Panchen Lama è stato rapito dai cinesi appena pochi mesi dopo, alla tenera età di 5 anni. Di lui, definito da Amnesty International il più piccolo prigioniero politico al mondo, e della sua famiglia, non sappiamo più nulla. L’autore descrive minuziosamente anche la rocambolesca fuga del XVII Karmapa, OgyenTrinley Dorje, altra figura importante per il buddismo himalayano.

Buldrini non si accontenta della nuda cronaca e ricostruisce la controversa vicenda del riconoscimento dell’attuale XVII Karmapa, addentrandosi nei lati più deplorevoli della questione, che non soltanto coinvolge enormi interessi economici ma che riguarda soprattutto gli aspetti politico-religiosi dell’eredità del Karmapa. Perché alla morte del Dalai Lama spetta, infatti, al karmapa il ruolo di reggente e, pertanto sarà alla guida dei buddhisti e dei tibetani in esilio, nell’attesa del riconoscimento del nuovo Dalai Lama..

Purtroppo la frattura che si è creata fra i discepoli del precedente Karmapa, ha portato al riconoscimento di due Karmapa. Nonostante la presenza di uno, indicato dal Dalai Lama, ne esiste anche un altro sospettato d’essere filo cinese, fatto da non escludere visto il ruolo cruciale di questa figura per il riconoscimento del futuro Dalai Lama e quindi per il futuro del popolo tibetano in esilio.

I contrasti nelle comunità in esilio

Infine Buldrini non teme di affrontare un’altra questione molto delicata riguardo una divinità mondana del buddismo himalayano, che si riferisce ad una pratica religiosa. Questo è un problema che affonda le radici nella storia del Tibet e fonte di controversie da oltre 300 anni, ma è oggi tornato d’attualità e ha purtroppo causato la morte di Ghesce Lobsang Gyatzo, direttore dell’Istitute of Buddhist Dialectis di Dharamsala in India, tragedia che ha profondamente scosso la comunità in esilio.

Questa divinità è Dorje Shugden, nata come protettrice di una particolare scuola del buddismo tibetano, della tradizione Gelug, a cui lo stesso Dalai Lama appartiene. La questione alimenta il settarismo fra le varie scuole del buddismo tibetano e già nel passato è stato motivo di divisioni e calamità. Per questa ragione, sottolineando quanto è importante l’unità del buddismo e dei tibetani, sopratutto oggi che sono in esilio, il XIV Dalai Lama, prima velatamente ma ora apertamente, chiede di non venerare questa divinità. Fra l’altro il culto di Shugden è praticato, con particolare enfasi, da una scuola riformata detta New kadampa school, sulla quale grava il sospetto d’essere filo cinese.

Il libro permette di capire che i cinesi non si lasciano sfuggire le occasioni per indebolire i tibetani in esilio, cercando di alimentare le spaccature. Da qui il rapimento del piccolo Panchen Lama e l’elezione di un altro sotto il controllo cinese, da qui i due karmapa, di cui uno filo cinese, da qui la New kadampa school che incita al settarismo e alla violenza con pretesti religiosi, tutti modi di far leva sulle divisioni esistenti all’interno della comunità.

Il libro si chiude con l’autore a Lhasa il 6 luglio del 2003, giorno del compleanno del Dalai Lama, sulle tracce di un antico percorso sacro, chiamato giro del Linkor, e descritto nel libro di F. Spencer Chapman, “Lhasa the Holy city”, pubblicato a Londra nel 1938. Carlo Buldrini ci accompagna per mano nel giro del Linkor nella desolante Lhasa d’oggi, fagocitata dai karaoke, bordelli e casermoni del regime cinese, con le fotocopie del libro di Chapman in tasca. L’autore cerca di trovare tracce di quello che resta della Lhasa autentica, quasi cancellata per sempre e che ormai vive solo nei cuori degli anziani pellegrini tibetani.


Biografia

Buldrini Carlo

Carlo Buldrini ha vissuto in India 30 anni, ha scritto per varie testate italiane e indiane ed è stato addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi. È autore di In India e dintorni (1999) e di Lontano dal Tibet che, pubblicato in India nel 2005 con il titolo A Long Way from Tibet, è entrato subito a far parte della lista dei best-seller indiani.

Carlo Buldrini was born in Trieste and graduated from Istituto Universitario di Architettura of Venice. He lived in India for 30 years from 1971 to 2000 where he worked as a journalist and acting director of the Italian Embassy Cultural Centre. His previous book In India e Dintorni is a collection of articles on South Asia. At present, he is dividing his time between New Delhi and Perugia, Italy.

Consulta anche: Recensione du "Quadrante europa" a cura di Claudia Gianvenuti
Consulta anche: Intervista a Palden Gyatso di Carlo Buldrini - 09/12/2004 - IL SECOLO XIX
Consulta anche: The rage of the lamas - by Harish Dhillon, The Sunday Tribune (India), Aug 21, 2005