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Lungo il sentiero dell'illuminazione.

Consigli per vivere bene e morire consapevolmente

Tensing Gyatso, XIV Dalai Lama


Editeur - Casa editrice

Mondadori

Religione
Buddhismo
Vajrayana


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2006

Pagine - Pages

136

Titolo originale

Mind of Clear Light: Advice on Living Well and Dying Consciously

Lingua originale

Tibetano

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Saggi

Traduttore

Roberto Cagliero

Prefazione

Jeffrey Hopkins


Lungo il sentiero dell'illuminazione. Lungo il sentiero dell'illuminazione.  

In questo libro vengono esplorati tutti gli stadi che gli uomini attraversano nel morire, che sono esattamente gli stessi di cui si fa esperienza quando ci si addormenta, si perde conoscenza, o si raggiunge l'orgasmo. Il Dalai Lama mostra come prepararsi a tale momento, come arricchire la vita attuale per arrivare alla morte senza paure e afflizioni, e come influenzare il corso delle cose per ottenere la migliore incarnazione possibile per il prossimo passaggio sulla terra.

 


Recensione in altra lingua (English):

"Depend upon it, Sir, when a man knows he is to be hanged in a fortnight, it concentrates his mind wonderfully." Samuel Johnson's observation notwithstanding, most of us approach our inevitable demise with more fear and trembling than understanding. His Holiness the Dalai Lama's Mind of Clear Light offers readers a mindful approach to death and impermanence. Using a 17th-century Buddhist poem as a guide, the Dalai Lama explores the stages of dying.

"Everyone dies, but no one is dead," goes the Tibetan saying. It is with these words that Advice on Dying takes flight. Using a seventeenth-century poem written by a prominent scholar-practitioner, His Holiness the Dalai Lama draws from a wide range of traditions and beliefs to explore the stages we all go through when we die, which are the very same stages we experience in life when we go to sleep, faint, or reach orgasm (Shakespeare's "little death").

The stages are described so vividly that we can imagine the process of traveling deeper into the mind, on the ultimate journey of transformation. In this way, His Holiness shows us how to prepare for that time and, in doing so, how to enrich our time on earth, die without fear or upset, and influence the stage between this life and the next so that we may gain the best possible incarnation. As always, the ultimate goal is to advance along the path to enlightenment. Advice on Dying is an essential tool for attaining that eternal bliss.



Recensione in lingua italiana

Note di Copertina

"Perchè la vita sia significativa è fondamentale accettare la vecchiaia e la morte come parte dell'esistenza. Se non ne sei consapevole, non riuscirai a trarre vantaggio da questa speciale vita umana che hai già ottenuto."

«Tutti muoiono, ma nessuno è morto» recita un proverbio tibetano. Ed è su questo tema che si concentra la riflessione del Dalai Lama, una riflessione serena e confortante volta a liberarci da ansie e paure per un evento che, se affrontato con la giusta preparazione e la necessaria consapevolezza, diventa più facile da accettare e cessa perfino di spaventarci. Spunto e filo conduttore di queste pagine è un componimento in diciassette strofe scritto nel XVII secolo dal primo Panchen Lama, un poema che si articola in una serie cii desideri da esprimere affinchè, al momento della morte, la nostra mente reagisca in modo virtuoso. Partendo da qui e attingendo a una vasta gamma di esperienze e di tradizioni orali e scritte, il Dalai Lama analizza e commenta il significato delle strofe a una a una e descrive in modo dettagliato le fasi della morte, dello stato intermedio tra una vita e l'altra e della rinascita. Si sofferma, in particolare, sulle otto fasi che tutti noi attraversiamo nel morire: quelle che riguardano il crollo dei quattro elementi che compongono il corpo (terra, acqua, fuoco e vento) e quelle che concernono il crollo della coscienza fino al livello più recondito, la cosiddetta «mente della chiara luce». Viene così delineata una sorta di mappatura degli stati mentali più profondi che si manifestano nella vita quotidiana e che di solito passano inosservati. Sono gli stessi che sperimentiamo quando ci addormentiamo, finiamo un sogno, sveniamo, starnutiamo o raggiungiamo l'orgasmo, che non a caso viene anche chiamato «piccola morte».
Attraverso un'analisi lucida ed efficace, il Dalai Lama ci spiega, inoltre, come arricchire la nostra permanenza sulla terra, per morire senza timori o afflizioni e raggiungere la migliore delle reincarnazioni. L'obiettivo ultimo è, come sempre, progredire lungo il sentiero dell'illuminazione.

Indice - Sommario

Prefazione (di Jeffrey Hopkins)
I. Consapevolezza della morte
II. Liberarsi dalla paura
III. Prepararsi a morire
IV. Eliminazione degli ostacoli a una morte favorevole
V. Raggiungimento di condizioni favorevoli per il momento della morte
VI. Meditare mentre si muore
VII. La struttura interna
VIII. La chiara luce della morte
IX. La reazione allo stato intermedio
X. Rinascere positivamente
XI. Riflessione quotidiana sul poema
Appendice. Struttra del poema e consigli riassuntivi


Biografia


Tratto da www.italiatibet.org traduzione di Vicky Sevegnani.


 



Sua Santità Tenzin Gyatso, 14° Dalai Lama del Tibet, è il capo temporale e spirituale del popolo tibetano. Nato con il nome di Lhamo Dhondrub il 6 luglio 1935 in un piccolo villaggio chiamato Taktser, nel nordest del Tibet, da una famiglia di contadini, all’età di due anni fu riconosciuto come la reincarnazione del suo predecessore, il 13° Dalai Lama e, secondo la tradizione buddista tibetana, come reincarnazione di Avalokitesvara, il Buddha della Compassione che scelse di tornare sulla terra per servire la gente.





La ricerca della reincarnazione



Quando il 13° Dalai Lama morì, nel 1935, il compito che il Governo Tibetano dovette affrontare non fu quello della semplice nomina di un successore ma la ricerca del bambino in cui il “Buddha della Compassione si fosse reincarnato.
Il Reggente si recò al lago sacro di Lhamo Lhatso a Chokhorgyal, circa 90 miglia a sud-est della capitale, Lhasa. Da secoli i tibetani, quando dovevano prendere decisioni importanti per il loro futuro, osservavano le acque di questo lago la cui superficie rifletteva immagini significative e forniva utili indicazioni.
Il Reggente vide tre lettere dell’alfabeto tibetano, Ah, Ka e Ma, accompagnate dall’immagine di un monastero dal tetto di giada verde e oro e di una casa con tegole turchesi. Nel 1937 alti lama e dignitari, messi al corrente della visione, furono inviati in tutte le regioni dell’altopiano alla ricerca del luogo che il Reggente aveva visto nelle acque. Il gruppo di ricerca che si indirizzò verso est era guidato dal Lama Kewtsang Rinpoche, appartenente al monastero di Sera.



Quando arrivarono in Amdo, trovarono un luogo che corrispondeva alla descrizione della visione segreta. Il gruppo si recò verso la casa con le tegole turchesi. Kewtsang Rinpoche indossava le vesti di un servitore mentre l’effettivo servitore, Lobsang Tsewang, vestiva quelle del capo delegazione. Rinpoche aveva con sé un rosario appartenuto al 13° Dalai Lama: il bambino che era nella casa lo riconobbe e chiese che gli fosse dato. Kewtsang Rinpoche promise che glielo avrebbe consegnato se avesse riconosciuto chi fosse. Il piccolo rispose “Sera aga” che, nel dialetto locale, significa “un lama di Sera”. Allora Rinpoche gli chiese quale dei due arrivati fosse il capo della delegazione e il bambino disse correttamente il nome del lama; conosceva inoltre anche il nome del vero servitore. A questa, seguì un’altra serie di prove tra cui il riconoscimento di una serie di oggetti appartenuti al 13° Dalai Lama.



Il positivo esito delle prove fornì la certezza che la reincarnazione era stata trovata e fu avvalorata dal significato delle tre lettere che erano state viste nel lago di Lhamo Lhatso: Ah per Amdo, il nome della provincia; Ka per Kumbum, uno dei più grandi monasteri nelle vicinanze e le due lettere Ka e Ma per il monastero di Karma Rolpai Dorje, il monastero dal tetto verde e oro sulla montagna sopra il villaggio. La cerimonia di investitura ebbe luogo il 22 febbraio 1940 a Lhasa, capitale del Tibet.



In qualità di Dalai Lama, Lhamo Dhondrub fu ribattezzato con i nomi di Jetsun Jamphel Ngawang Lobsang Yeshe Tenzin Gyatso (Signore Santo, Mite Splendore, Compassionevole, Difensore della Fede, Oceano di Saggezza). I Tibetani solitamente si riferiscono a Sua Santità come Yeshe Norbu, la Gemma [che esaudisce i desideri] o semplicemente come Kundun, la Presenza.



L’educazione in Tibet



Il Dalai Lama iniziò la sua educazione all’età di sei anni e conseguì il diploma di Geshe Lharampa (o Dottorato in Filosofia Buddista) all’età di 25 anni, nel 1959. A 24 anni, sostenne gli esami preliminari in ciascuna delle tre università monastiche di Drepung, Sera e Ganden. L’esame finale ebbe luogo nel Jokhang, a Lhasa, durante la festività del Monlam che si svolge ogni anno durante il primo mese del calendario Tibetano.




L’assunzione delle responsabilità di governo


Il 17 Novembre 1950, dopo l’invasione del Tibet da parte di 80.000 soldati dell’Esercito di Liberazione Popolare, fu chiesto a Sua Santità di assumere i pieni poteri politici come capo di Stato e di Governo. Nel 1954 si recò a Pechino per avviare un dialogo pacifico con Mao Tse-Tung e altri leader cinesi, fra i quali Chou En-Lai e Deng Xiaoping. Nel 1956, durante una visita in India in occasione del 2.500° anniversario del Buddha Jayanti, ebbe una serie di incontri con il Primo Ministro Nehru e con il Premier Chou En-Lai in cui fu discusso il progressivo deterioramento della situazione all’interno del Tibet.
I suoi tentativi di soluzione pacifica del conflitto Sino-Tibetano furono vanificati dalla spietata politica perseguita da Pechino nel Tibet Orientale, politica che scatenò la sollevazione popolare e la resistenza. La protesta si diffuse nelle altre regioni del paese. Il 10 marzo 1959 nella capitale, Lhasa, esplose la più grande dimostrazione della storia tibetana: il popolo chiese alla Cina di lasciare il Tibet e riaffermò l’indipendenza del paese. La sollevazione nazionale tibetana fu brutalmente repressa dall’esercito cinese.
Il Dalai Lama fuggì in India dove ottenne asilo politico. Circa 80.000 tibetani lo seguirono e, attualmente, i profughi in India sono più di 120.000. Dal 1960, il Dalai Lama risiede a Dharamsala, una cittadina situata nello stato indiano dell’Himachal Pradesh, conosciuta anche come “la piccola Lhasa” e sede del Governo Tibetano in esilio.
Nei primi anni dell’esilio, Sua Santità si appellò alle Nazioni Unite per una soluzione della questione tibetana. L’assemblea Generale, rispettivamente nel 1959, 1961 e 1965, adottò tre risoluzioni nelle quali si esortava la Cina a rispettare i diritti umani dei tibetani e la loro aspirazione all’autodeterminazione.
Con la costituzione del Governo Tibetano in esilio, il Dalai Lama comprese che il suo primo obbiettivo doveva essere la preservazione della comunità tibetana e della sua cultura. I rifugiati tibetani furono inseriti in insediamenti agricoli. Fu sostenuto lo sviluppo economico e fu organizzato un sistema scolastico basato sull’insegnamento della cultura tibetana affinché i figli dei rifugiati potessero acquisire la piena conoscenza della loro lingua, storia, cultura e religione. Nel 1959 fu creato l’Istituto Tibetano delle Arti e lo Spettacolo e l’Istituto Centrale di Studi Tibetani Superiori divenne una Università per i tibetani in India. Allo scopo di preservare il vasto corpo degli insegnamenti del Buddismo tibetano, essenza del sistema di vita del popolo del Tibet, furono rifondati nell’esilio oltre 200 monasteri.
Nel 1963, Sua Santità promulgò una costituzione democratica, che servisse da modello per un futuro Tibet libero, basata sia sui principi del Buddismo sia sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Oggi i membri del parlamento sono eletti direttamente del popolo che, dalla primavera 2001, elegge direttamente anche il Kalon Tripa, o Primo Ministro, del governo tibetano. Il Primo Ministro, a sua volta, designa i componenti del proprio governo. Sua Santità ha continuamente sottolineato la necessità di democratizzare l’amministrazione tibetana e ha pubblicamente dichiarato che quando il Tibet avrà ottenuto l’indipendenza, non manterrà alcuna carica politica.
Nel 1987 a Washington, in occasione della riunione del Comitato del Congresso per i Diritti Umani, il Dalai Lama propose un Piano di Pace in Cinque Punti come un primo passo verso la soluzione del futuro status del Tibet. Questo piano chiedeva la trasformazione del Tibet in una zona di pace, la fine dei massicci trasferimenti di popolazione di etnia cinese in Tibet, il ripristino dei fondamentali diritti umani e delle libertà democratiche, l’abbandono da parte della Cina dell’utilizzo del territorio tibetano per la produzione di armi nucleari e lo scarico di rifiuti radioattivi e, infine, auspicava l’avvio di “seri negoziati” sul futuro del Tibet.
A Strasburgo, in Francia, il 15 giugno 1988, il Dalai Lama elaborò il
Piano di Pace in Cinque Punti
proponendo la creazione di un Tibet democratico ed autonomo, “all’interno della Repubblica Popolare Cinese.”
Il 9 ottobre 1991, durante un discorso tenuto alla Yale University negli Stati Uniti, Sua Santità disse che desiderava visitare il Tibet personalmente per valutare la situazione politica. Disse: “Temo che una situazione così esplosiva possa portare alla violenza. Voglio fare del mio meglio per impedirlo … Il mio viaggio dovrebbe costituire una nuova opportunità per promuovere la comprensione e creare le basi per una soluzione negoziale.”
Dopo quasi dieci anni di assenza di qualsiasi contatto formale tra Cina e Governo Tibetano in Esilio, nel settembre 2002 e nel giugno 2003 due delegazioni tibetane hanno potuto recarsi un visita in Cina e Tibet. Secondo Dharamsala, si è trattato di incontri preparatori ad un eventuale, futuro negoziato, miranti a creare le indispensabili premesse di distensione e fiducia.





I contatti con l’Occidente


A partire dal 1967, Sua Santità ha intrapreso una serie di viaggi che lo hanno portato in circa 46 nazioni. Nell’autunno del 1991, ha visitato gli Stati Baltici su invito del Presidente Vytautas Landsbergis ed è stato il primo leader straniero a tenere un discorso davanti al Parlamento Lituano. Il Dalai Lama ha incontrato Papa Paolo VI in Vaticano nel 1973. Durante una conferenza stampa a Roma, nel 1980, ha espresso le sue speranze alla vigilia dell’incontro con Giovanni Paolo II: “Viviamo in un periodo di grande crisi, un periodo in cui il mondo è scosso da turbolenti sviluppi . Non è possibile trovare la pace dell’anima senza la sicurezza e l’armonia fra le genti. Per questo motivo aspetto con fede e speranza di incontrare il Santo Padre; per avere uno scambio di idee e sentimenti e per raccogliere i suoi suggerimenti, per aprire la strada ad una progressiva pacificazione fra i popoli.”
Il Dalai Lama incontrò Papa Giovanni Paolo II in Vaticano nel 1980, 1982, 1986, 1988 e 1990. Nel 1981, Sua Santità incontrò a Londra l’Arcivescovo di Canterbury, dr. Robert Runcie e altri leader della Chiesa Anglicana. Ha incontrato inoltre i massimi rappresentanti della Chiesa Cattolica Romana e delle Comunità Ebraiche e ha tenuto un discorso durante un incontro interreligioso che si è tenuto in suo onore al Congresso Mondiale delle Religioni. Queste le sue parole: “Credo sempre che sia molto meglio avere una varietà di religioni e filosofie diverse piuttosto che una singola religione o una singola filosofia. E’ necessario a causa della diversa disposizione mentale di ciascun essere umano. Ogni religione ha le sue peculiari idee e pratiche: imparare a conoscerle può solo arricchire la fede di ciascuno.”






Premi e Riconoscimenti



Sin dalla sua prima visita in Occidente, all’inizio del 1973, numerose università ed istituzioni occidentali hanno conferito al Dalai Lama Premi per la Pace e Lauree ad Honorem, in segno di riconoscimento per gli approfonditi testi sulla filosofia buddista e per il ruolo svolto nella soluzione dei conflitti internazionali, nella questione dei diritti umani e in quella, a carattere globale, dei problemi ambientali. Nel 1989, nel proclamare l’assegnazione del premio Raoul Wallemberg per i Diritti Umani del Congresso, il deputato statunitense Tom Lantos disse: “La coraggiosa lotta di Sua Santità il Dalai Lama fa di lui un eminente sostenitore dei diritti umani e della pace nel mondo. I suoi continui sforzi per porre fine alle sofferenze del popolo Tibetano attraverso negoziati pacifici e la riconciliazione hanno richiesto un enorme coraggio e sacrificio.”



Il
Premio Nobel per la Pace



La decisione del Comitato Norvegese per il Premio Nobel di assegnare il Premio Nobel per la Pace 1989 a Sua Santità il Dalai Lama è stata accolta in tutto il mondo, unica eccezione la Cina, con applausi e consensi. L’annuncio del Comitato così recita: “Il Comitato vuole sottolineare il fatto che il Dalai Lama, nella sua lotta per la liberazione del Tibet, si è continuamente opposto all’uso della violenza. Ha appoggiato invece soluzioni pacifiche basate sulla tolleranza e sul reciproco rispetto con l’obiettivo di conservare l’eredità storica e culturale del suo popolo. Il Dalai Lama ha sviluppato la sua filosofia di pace sulla base di un grande rispetto per tutti gli esseri viventi e sull’idea di responsabilità universale che abbraccia tutto il genere umano così come la natura. E’ opinione del Comitato che il Dalai Lama abbia formulato proposte costruttive e lungimiranti per la soluzione dei conflitti internazionali, del problema dei diritti umani e dei problemi ambientali mondiali”.
Il 10 Dicembre 1989, Sua Santità accettò il premio a nome di tutti gli oppressi, di tutti coloro che lottano per la libertà e la pace nel mondo e a nome del popolo tibetano. Nel suo commento disse: “Questo premio costituisce un’ulteriore conferma delle nostre convinzioni: usando come sole arma la verità, il coraggio e la determinazione, il Tibet sarà liberato. La nostra lotta deve rimanere non violenta e libera dall’odio.” In quell’occasione, lanciò anche un messaggio di incoraggiamento al movimento democratico guidato dagli studenti cinesi. “Nel giugno di quest’anno, in Cina, il movimento popolare democratico è stato schiacciato da una forza brutale. Ma non credo che le dimostrazioni siano state vane perché lo spirito di libertà si è riacceso nel popolo cinese e la Cina non può rimanere estranea allo spirito di libertà che si va diffondendo in molte parti del mondo. I coraggiosi studenti e i loro sostenitori hanno mostrato ai leader cinesi e al mondo il volto umano di una grande nazione.”


 




Un semplice monaco buddista



Sua Santità dice spesso: “Sono un semplice monaco buddista, niente di più e niente di meno.”
Conduce la stessa vita dei monaci buddisti. Vive in una piccola casa a Dharamsala, si alza alle 4 del mattino per meditare, prosegue con un ininterrotto programma di incontri amministrativi, udienze private, insegnamenti religiosi e cerimonie. Prima di ritirarsi, conclude la sua giornata con altre preghiere. Quando vuole spiegare quali sono le sue più importanti fonti di ispirazione, spesso cita i suoi versi preferiti, tratti dagli scritti di Shantideva, un celebre santo buddista dell’VIII° secolo:



Finché esisterà lo spazio
E finché vi saranno esseri viventi,
Fino ad allora possa io rimanere
Per scacciare la sofferenza dal mondo

Informazioni tratte dal sito ufficiale del governo tibetano in esilio

Consulta anche: Biografia su Italia Tibet