"Lento pede ambulabis" è un motto della Scuola Salernitana, e se pur riferito alla digestione è ormai il mio motto preferito poiché con l'avanzare dell'età desidero godermi appieno i paesaggi e gli incontri, con calma... senza correre e affaticarmi. Cham, le danze rituali dei monaciPagina Riservata agli iscrittiNel 1985 ho scritto il primo articolo a pagamento. Uscì sul quotidiano BresciaOggi. Avevo conosciuto un allora giovane giornalista, Riccardo Venchiaruti ad una conferenza stampa organizzata con aperitivo - trucchi che si imparano - per il lancio di alcune serate di viaggio. Non ricordo cosa proiettassi, ma Riccardo mi propose di scrivere un articolo. "Fra Cimbali e tamburi al Festival di Hemis", prima di consegnarlo, chiesi il parere ad una amica che era stata con in Ladakh con il gruppo di Giorgio Daidola. "Perfetto, - fu il suo giudizio - sembra proprio che anche tu fossi li, solo un particolare: dal tempio si scende nel cortile, non il contrario". Furono le prime diecimila lire guadagnate con una vacanza che non avevo ancora fatto! Chiesi il viaggio assieme ad altri due concatenati. Telefonai a Roma: "Perché hai programmato tre settimane quando viene e fatto in due?". La risposta fu semplice "Un svista, ma saprai inventarti qualcosa! Ci vediamo a Giugno (1) al raduno". Sono tornato e poi tornato ancora a pernottare ad Hemis ed ho assistito nuovamente alle danze. In quarant'anni ho visto i cambiamenti architettonici del monastero e il ridursi delle cerimonie da festa popolare ad uno spazio per gli spettatori paganti, La coreografia del cham era uscita sulla rivista di AnM a cura di una capogruppo, ma curiosamente differiva da quella cui avevo assistito e descritto nella guida di AnM pubblicata nel 1988 nelle edizioni Calderini. Lamayuru, Sani, Karsha, sTongde, Phyang, Tak Tok, Karzok, Stok, Matho, Leh in Ladakh, Bhumtang e Thimpu in Bhutan, Ciwang in Nepal, sono state tappe della mia curiosità. Non è un cammino iniziatico né un tour fotografico. Anche se ho acquistato. compulsato testi ed arricchito gli scaffali della libreria, non ho ancora capito se il 'cham sia solo espressione del desiderio di credenti e non credenti, di praticanti e spettatori, di annullarsi nell'infinito o ogni evento vada preso per quello che semplicemente è, un momento gioioso nella vita di un buddhista.Quello che dovrebbe accadere a chi assiste e a chi danza è spiegato da Ogyen Trinley Dorje, 17° Karmapa (preciso che non parteggio per nessuno dei due karmapa): "Immaginando se stessi come la divinità, i danzatori pensano che tutti i movimenti fisici che compiono siano espressioni della divinità o i suoi movimenti. Allo stesso modo, gli spettatori di una danza del lama non dovrebbero pensare alla danza del lama come a un'esibizione o a una danza ordinaria. Se si sa come praticare il mantra, è importante allenarsi nella percezione pura connessa alla pratica tantrica e pensare di stare effettivamente vedendo la divinità, meditando sulla fede. Purificarsi dalla fissazione sulle apparenze ordinarie è di primaria importanza nel mantra, quindi è molto importante per i danzatori della danza del lama cercare di bloccare la fissazione sulle apparenze ordinarie e anche per gli spettatori impegnarsi a bloccare la fissazione sulle apparenze ordinarie." (4).
Le danze 'Cham nel mondo tibetanoÈ molto difficile rispondere alla domanda su come siano nate le danze 'cham, tuttavia si può sostenere che nelle forme attuali le danze culturali del lamaismo siano indubbiamente una sintesi dei costumi originali tibetani con i concetti e le pratiche del tantrismo indiano. Secondo le tradizioni orali e del 'Cham yig, talvolta gli autori delle danze le hanno create partendo sia da princìpi cosmologici e iconografici generali che da visioni avute in sogno, in accordo con gli insegnamenti religiosi delle rispettive scuole. Si ritiene generalmente che alcuni creatori di danze abbiano inventato i movimenti coreografici dopo aver visitato in sogno la Montagna di Rame Colorato (Zangdokpalri - zangs mdog dpal ri) della leggenda di Padma Sambhava (immagine a destra). In conclusione: Cham non indica una sola danza, ma può essere un evento che include più danze, fra cui la più famosa (queòòa dei berretti neri). Aldilà di quella descritta dal Grande Quinto e modificata ed integrata nel corso dei secoli, ogni Cham ha caratteristiche proprie che variano da ordine ad ordine, da gompa a gompa, da stagione a stagione. ‘Chams Yig, il Libro delle Danze religiose, il grande V e la scomparsa di Rene Nebesky-WojkowitzIl fondamentale testo del Chams Yig èstato trascritto e commentato da René Nebesky-Wojkowitz che pubblicò Tibetan Religious Dances Tibetan Text and Annotated Translation of the "Chams Yig", 1976, testo incompiuto per la scomparsa dell'autore a 36 anni. Fra Oggi quasi tutti i turisti dell'arco Himalayano hanno scattato immagini dei Cham, ma René Nebesky-Wojkowitz poté assitere a pochi eventi e non fu fortunato come noi.le leggende sulla sua prematura scomparsa viè quella sostenuta dai praticanti (fedeli) tibetani che l'attribuiscono ad una "maledizione" delle divinità irate del pantheon buddhista che non gradiscono essere indagate. Il suo testo illustra le danze sia Bön che delle varie tradizioni vajrayana, in specifico, il 'cham dell'ordine Ghelug-pa viene dettagliatamente descritto nella sua traduzione del codice 'Cham yig. L’introduzione del 'Cham yig fornisce indicazioni dettagliate sugli autori. La maggior parte del testo è stata scritta dal Grande Quinto, Ngawang Lobsang Gyatso (Nagag dbang blo bzang rgya mtsho) (1617-1682), conosciuto con il suo “nome segreto” o pseudonimo di Zha hor gyi bandhe o anche Bla ma rdo rje rtsal. Egli iniziò la stesura del libro nel IV mese del 1647, anno del Maiale di Fuoco, e lo destinò ai preti del monastero rNam par gtal ba’i phen bde legs bshad gling, più brevemente Namgyal Gompa (rNam rgyal dgon pa), la lamaseria interna del Potala, che viene ripetutamente citata nel terzo capitolo. Il testo comprende una raccolta di scritti del Grande Quinto, ma purtroppo rimase incompiuto. Importanti lama cercheranno di completarlo. Nel 1709, l’incarico venne affidato ad un tulku e poi ad altri due lama per essere finalmente messo alle stampe a Ganden nel 1712. Anche se l’autore era la più alta autorità Gelug-pa, il testo fa riferimento principalmente alle tradizioni Nyingma e Saskya. Questo sincretismo non deve stupire in quanto il Grande Quinto nasceva da una famiglia di rito Nyinma e che spesso i Dalai Lama, come l’attuale XIV, sono persone di ampie vedute e non settarie. Il V Dalai Lama ed i tre co-autori spiegano la metodologia di lavoro nelle ultime pagine del testo che ha cercato di unificare le varie modalità di danze in onore di Vajrakīla, l’yddam principale protagonista delle danze contenute nel libro. Vajrakīla è un Heruka, molto importante nelle tradizioni nyingma e saskya, spesso raffigurato con tre teste, sei braccia e quattro gambe, ma che soprattutto impugna il kīla (tib: phur ba), uno dei potenti oggetti del rituale. Vajrakīla è la emanazione, tramite una serie di passaggi, di Samantabhadra, che compare nel titolo e che è nominato anche all’inizio quando il Grande Quinto specifica musica e gestualità. Le danze simbolicamente replicano il mandala di Vajrakīla che simboleggia la costruzione del suo palazzo, passano poi ad altri movimenti, fra i quali l’evocazione di 64 divinità minori della sua corte, la creazione della sakti, la sua consorte, o compagna: ‘Khor lo rgyas ‘debs ma (il prof. Tucci usa il termine paredra (2). Il manuale, o canone delle danze, prosegue descrivendo minuziosamente i paramenti, i gesti e gli oggetti (Tucci li definiva “parafernalia”) impugnati dai “cappelli neri” e degli altri protagonisti, per poi descrivere le tre fasi del cham. Gli autori spesso citano le fonti, e la più importante compare subito all’inizio nel rito del mandala di Vajrayana che ha due sezioni e nella seconda si fa riferimento alle scuole Sarma e alla danza sviluppata dal grande Bu Ston (Butön Rinchen Drub) “che aveva conoscenza di tutte le danze” e traeva le sue conoscenze dall’antico testo mKha’ ‘gro rdo rje gur e da pratiche di concentrazione dello yoga. I testi di Bu Ston (Butön Rinchen Drub)Oltre ai cosiddetti 'cham', le grandi danze religiose pubbliche, esistono altre danze (gar) eseguite da un sacerdote in assenza di spettatori non iniziati, nell'ambito del suo culto di alcune divinità. Tre testi che descrivono "danze sacrificali" (mchod gar) di questo tipo sono contenuti nelle opere complete di Buton. Il primo testo fornisce istruzioni su come adorare, attraverso movimenti di danza, dodici dee chiamate le "nobili ed eccellenti dodici dee" (dpal mchog Iha mo bcu gnyis) e quattro shakti note come rTse m'i gsang ba yum bzhi; il secondo testo riguarda esclusivamente il mchod gar di queste ultime dee, che in questo caso sono chiamate gSang ba yum bzhi o rDo rje dbyings kyi gsang ba yum bzhi, mentre il terzo testo porta il titolo Sham pa ta'i gar dpe (3). Come nel 'Chams Yig , anche in questo caso viene fornita una descrizione dettagliata del modo in cui mani e piedi del danzatore dovrebbero muoversi. Ci sono anche altre somiglianze tra questi due tipi di libri: i movimenti di danza dipendono dalla recitazione di invocazioni che, tuttavia, sembrano essere note solo agli iniziati, poiché i libri di danza ne contengono solo frammenti. Inoltre, in entrambi i casi i mudra, che simboleggiano alcuni tratti molto caratteristici della divinità venerata, costituiscono una parte importante della danza.
Zhanak: La danza del cappello neroLo Zhanak (ཞྭ་ནག་), o danza del Cappello Nero, è una delle danze sacre durante i cham,eseguita senza maschera, più popolari dell'Himalaya buddhista. Al turista la danza è immediatamente riconoscibile per il cappello nero ma in realtà il nome definisce varie danze eseguite con gli stessi paramenti ma con differenti simblogie. Prende il nome dai cappelli neri indossati dai danzatori, ha un profondo significato spirituale, viene eseguito come atto di rituale e pratica religiosa, e non come intrattenimento. I danzatori dello Zhanak indossano una lunga tunica di seta chiamata phoego (ཕོད་གོ་), che viene legata intorno ai fianchi dall'interno con un apposito supporto in modo che la tunica ruoti fluidamente ed elegantemente quando i danzatori eseguono movimenti rotatori. Le tuniche sono realizzate in broccato di seta di diversi colori e presentano motivi a righe sia sul corpo che sulle maniche, che hanno un'estremità molto ampia. I danzatori indossano il coprispalle dorji gong (རྡོ་རྗེ་གོང་) e un grembiule scuro con raffigurato un volto irato e nappe sul fondo. All'interno della tunica, i danzatori indossano i loro abiti abituali e un paio di pantaloni rosa. Per la danza Zhanak, quando le persone possono permetterselo, i danzatori indossano normalmente gli stivali tradizionali realizzati in Ladakh. La caratteristica più distintiva dei costumi da danza è il cappello nero, che ha una base circolare piatta su cui a volte sono disegnati diagrammi tantrici o mantra. La parte centrale è la copula, che viene indossata sulla testa del danzatore e legata con una cinghia che passa sotto il mento. La copula presenta numerose caratteristiche, tra cui forme a cupola e sovrapposizioni di dischi solari e falciformi lunari in alcuni casi, teschi e un apice decorativo a forma di specchio, vajra o gioiello, spesso ornato con piume di pavone. Sui due lati dei pali centrali si trovano motivi di serpenti, draghi, fogliame, fiamme, sciarpe, ecc. La copula rappresenta il mandala cosmico dei tre mondi del desiderio, della forma e dei regni senza forma, oppure il Monte Meru circondato dai continenti e dai subcontinenti. Illustra come il maestro che indossa questo cappello trasformi il mondo ordinario in un campo di energia illuminata. La danza del Cappello Nero è la rappresentazione di una delle pratiche più esoteriche e potenti del Buddhismo Vajrayana. Basato sul Buddhismo Mahāyāna e sulla sua teoria dell'altruismo (compassione) per condurre tutti gli esseri senzienti alla liberazione, ma dotato di eccezionali espedienti, il Buddhismo tantrico promuove l'uso di metodi violenti e terrificanti, spinti da una compassione spietata, per domare gli esseri ribelli. Il danzatore del Cappello Nero rappresenta un maestro del Buddhismo tantrico o Vajrayana che possiede il potere spirituale di soggiogare una forza demoniaca e trasformare l'energia negativa in positiva. Per accentuare l'aura feroce rappresentata dall'abbigliamento e dai movimenti, la fronte e le guance dei danzatori sono segnate con fuliggine per creare un volto terrificante, e il volto è parzialmente oscurato da nappe nere che pendono dal cappello nero. Le nappe simboleggiano anche i lunghi capelli dei sacerdoti tantrici, in contrasto con i monaci rasati. L'abbigliamento terrificante e i movimenti del ballerino con il cappello nero rappresentano l'uso della forza e della paura, seppur per compassione, per aiutare una forza maligna a fermare ulteriori mali, ponendo fine a essi. Ciò avviene attraverso la pratica dell'uccisione compassionevole, nota come "liberazione", in cui la coscienza della vittima viene liberata mentre la sua personalità ordinaria viene uccisa. Per simboleggiare questo rituale di uccisione e l'offerta dei suoi resti alle terrificanti forze illuminate, i danzatori brandiscono un pugnale phurpa (ཕུར་པ་) e una sciarpa nera chiamata yabdar (གཡབ་དར་) nella mano destra, e una coppa a forma di teschio bhāṇḍa nella sinistra. A livello esoterico, il pugnale e la coppa simboleggiano l'unione di saggezza e metodo, ma nel rituale vero e proprio, il pugnale è uno strumento per l'uccisione e la coppa bhāṇḍa per offrire i resti della vittima ai Buddha irati. L'uccisione, in teoria, rappresenta l'eliminazione di ogni senso di dualità e attaccamento, e il consumo dei resti la dissoluzione dell'esperienza empirica ordinaria nello stato di realtà o dharmadhatu. Durante la Danza Zhanak, ai danzatori vengono anche offerti dei calici per offrire libagioni all'essere illuminato e alle divinità protettrici, chiedendo il loro supporto per portare a termine con successo l'uccisione rituale. La sciarpa yabdar viene solitamente utilizzata per evocare e attrarre le forze del male, che devono essere "liberate". Il sacerdote capo, in un rituale tantrico di esorcismo o pratica sādhanā su un Buddha irato, è spesso vestito da danzatore con il cappello nero. La leggenda di Lhalung PelkyiLa danza del Cappello Nero è, quindi, una rappresentazione del rituale tantrico di annientamento delle forze demoniache ribelli. Viene eseguita anchecome rappresentazione di un episodio storico di tale pratica. Dopo l'assassinio dell'ultimo grande re buddhista del Tibet, Tri Ralpachen, nell'836 d.C., suo fratello Darma salì al trono. Gli storici buddhisti tibetani affermano che Darma condusse una persecuzione calcolata della fede buddhista durante i sei anni del suo regno. Incapace di sopportare la distruzione del patrimonio buddhista suppportato dai re precedenti, si dice che Lhalung Pelkyi, un monaco tantrico in meditazione, si sia presentato sotto le spoglie di un danzatore in vesti scure con fodera interna bianca e maniche lunghe e ampie. Pekkhy aveva nascosto arco e frecce nelle maniche e era arrivato in groppa a un cavallo bianco che aveva dipinto di nero con il carbone. Avvicinandosi al re, eseguì una danza spettacolare per distrarlo e, nel farlo, lo uccise con la sua freccia. Poi si lanciò a cavallo attraverso il fiume che lavò via il carbone. Inoltre, rovesciò la veste. Così, quando gli uomini del re andarono a caccia di un cavaliere nero su un cavallo nero, la gente riferì di aver visto solo un cavaliere bianco su un cavallo bianco. Alla fine fuggi nel Tibet orientale, dove si stabilì con altri buddhisti. Oggi, la danza del Cappello Nero, con i suoi costumi e il suo scopo di eliminare una potenza malvagia, è vista come un ricordo delle eroiche gesta di Lhalung Pelkyi Dorji per il bene della fede buddhista. Nelle festività ladakhe, la danza del Cappello Nero, che rappresenta questa pratica tantrica di sottomissione attraverso attività terrificanti dettate dalla compassione, è comunemente nota come Zhanak o danza del Cappello Nero per la consacrazione della terra. La danza simboleggia lo sterminio delle forze negative da un'area in cui si svolgono attività spirituali. Un'altra danza del Cappello Nero viene eseguita anche con piccoli tamburi ed è nota come Zhanak Ngacham o danza del Cappello Nero con tamburi. Questa danza simboleggia la celebrazione della liberazione e della sottomissione del male, nonché la vittoria del bene sul male. La danza del Cappello Nero, come la maggior parte delle altre danze, viene eseguita dai monaci come dimostrazione di pratica tantrica esoterica, i danzatori devono essere teoricamente praticanti tantrici esperti, in grado di eseguire tale pratica. L'interesse per i Cham nasce in Italia grazie a due libri quasi introvabili: the Buddhist Dance Drama of Tengpoche di New Delhi 1976. Non a caso Fantin pubblicò in lingua inglese temendo la scarsa diffusione fra il pubblico italiano.Verni Piero, Sevignani Vicky, Tibet, le danze rituali dei lama. Firenze, Nardini Press, 1980, 159 pagine, presentazione del Dalai Lama, fotografie di Vicky Sevegnani,(1995) Per cercare di comprendere i Cham, ho anche acquistato o consultato:
Note (1) "In illo tempore" il raduno si teneva in Giugno prima delle partenze (2) Dal greco "para"=presso ed "edra"=sedia, ha il significato di "che siede accanto". Nella religione greca, infatti, si dava questo nome ad una divinità associata al culto di altra divinità. La consuetudine fu mantenuta anche dai Latini. Presso gli Hindu esiste una forma similare ma con significato diverso; ogni Dio, infatti, ha una corrispondente figura femminile che, di solito, prende il nome di Shakti. (3) Sham-pa-ta’i gar-dpe shin-tu legs-pa gcig. Collected Works vol. PA (13), 781 - 788. New Delhi, International Academy of Indian Culture, 1966. (4) The Great Cham Dance (nel sito Karmapa) |
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dal 15 aprile 2025 |
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